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Recensione libri cubani

 

Mapa dibujando per una espia (Mappa disegnata da una spia)

 

Vargas Llosa crede che Mapa dibujado por un espía (Mappa disegnata da una spia) sia una testimonianza cruda e atroce di cosa significa una Rivoluzione quando l'euforia e l'allegria del trionfo finiscono e lasciano il posto al potere assoluto.

 

Sto leggendo Mapa dibujado por un espía, forse il regalo di Natale più gradito, che un amico mi ha fatto arrivare appositamente dagli Stati Uniti. Non finirò mai di ringraziarlo, perché ho letto tutto del grande scrittore cubano, Premio Cervantes e Nobel mancato, che ci ha lasciati troppo presto per colpa di una maledetta setticemia contratta in ospedale, a Londra. Attendo di aver completato la lettura – in spagnolo – per scrivere un commento definitivo, che anticipo più che positivo. Cabrera Infante racconta il suo ultimo viaggio a Cuba in occasione del funerale di sua madre e al tempo stesso descrive il cambiamento in negativo della Rivoluzione, in procinto di diventare una dittatura. Lo scrittore parla di se stesso in terza persona, come se fosse un personaggio da fiction, ma la storia è una sorta di diario, scritta in un castigliano semplice, una tantum privo degli artifici verbali che contraddistinguono lo stile del narratore. In questo pezzo riporto l'opinione di Mario Vargas Llosa – premio Nobel e grande estimatore di Cabrera Infante, fu lui a proporlo per il Cervantes – che su El Pais ha pubblicato una forbita e colta recensione. Vargas Llosa afferma: «Mapa dibujado por un espía dovrebbe chiamarsi El mapa de la tristeza (La mappa della tristezza) per il sentimento di solitudine e di sgomento che lo caratterizza. Il libro racconta la visita di Cabrera Infante all'Avana, nel 1965, quando era incaricato culturale di Cuba in Belgio, e al tempo stesso narra la vita della capitale cubana e descrive con dovizia di particolari l'epoca successiva al trionfo rivoluzionario. Ho conosciuto Guillermo quando era ancora diplomatico a Bruxelles e faceva attenzione a non criticare la Rivoluzione Cubana, perché temeva le conseguenze. Sono stato a Cuba negli anni che lo scrittore descrive e ho parlato spesso con lui della Rivoluzione, convinto che tutti fossero contenti ed entusiasti della direzione intrapresa. Non era così, come ho capito dopo e come mi conferma questo romanzo postumo: simulavano, fingevano, perché temevano rappresaglie. Il libro narra i quattro mesi successivi alla morte della madre dell'autore, quando la sua posizione a Cuba cambiò repentinamente, nessuno lo ricevette al ministero, venne messo in disparte, privato di ogni incarico diplomatico. Nonostante questo, in precedenza, Raúl Roa si era complimentato con lui per come aveva gestito le cose a Bruxelles e gli aveva anticipato che con tutta probabilità avrebbe avuto una promozione. Perché Cabrera Infante veniva improvvisamente considerato un nemico della Rivoluzione? Il libro non contiene analisi politiche né critiche ragionate al governo rivoluzionario; al contrario, ogni volta che affronta il tema politico negli incontri tra amici, il protagonista tace e cerca di cambiare discorso, perché teme che nel gruppo ci sia qualche spia e che le cose dette possano arrivare – in un modo o nell'altro – agli orecchi dei funzionari del Ministero degli Interni. Il romanzo è permeato di questa diffusa paranoia, una sorta di sfiducia nei confronti del nuovo regime, che segna l'inizio di una via crucis psicologica che con il tempo metterà in crisi la sua vita e la sua salute, nonostante gli sforzi della moglie, l'attrice cubana Miriam Gómez, per infondergli coraggio e aiutarlo a scrivere sino alla fine. Questo romanzo postumo è una testimonianza cruda e realistica di quel che significa una Rivoluzione quando l'euforia e l'allegria del trionfo lasciano il posto al potere assoluto, a quel Saturno che prima o poi è destinato a divorare i suoi figli».

Guglielmo Cabrera Infante è il più grande scrittore cubano contemporaneo, uno dei migliori narratori ispanici di tutti i tempi. Ha lasciato un corpus narrativo di primaria grandezza, da Tre tristi tigri a La ninfa incostante (che mi onoro di aver tradotto in italiano per Sur – Minimum Fax), adesso torna stupire con un nuovo inedito portato alla luce da Miriam Gómez. Ricordiamo gli scritti di cinema, molto importanti, che sono usciti in una raccolta completa da pochi mesi. In Spagna e a Miami si sta storicizzando la sua produzione, compilando una sorta di enorme Meridiano di narrativa e saggistica. Purtroppo, in Italia non è facile trovare editori disposti a scommettere su Cabrera Infante. La letteratura non ha vita facile nel nostro paese. (Piombino, 16 dicembre 2013)

 

In Attesa della primavera

Gordiano Lupi - Yoani Sánchez - In attesa della primavera - Edizioni Anordest -Prefazione di Mario Calabresi - Pag. 230 – Euro 12,90 –  ISBN 9788896 742778

“Per scoprire un autoritario cubano ditegli che l’arcobaleno è composto da sette colori, lui negherà e sosterrà che è solo rosso e verde oliva. Per scoprire un autoritario basta che gli proponiate di dialogare, fuggirà spaventato, sorpreso, e si nasconderà. Per scoprire un autoritario dovete solo notare la sua inclinazione all’insulto, la sua paura del dibattito e quella mano alzata pronta a colpire” (Yoani Sánchez).

Yoani Sánchez, laureata in filologia nel 2000, alla Università dell’Avana. Nell’aprile del 2007, crea il blog Generación Y (che le ha dato rinomanza internazionale) dove pubblica regolarmente storie di vita cubana, caratterizzate da un tono critico nei confronti del governo. È una delle più influenti voci sulla realtà cubana. Il suo blog è stato bloccato dal 2008 al 2011 agli utenti cubani ed è spesso perseguitata dalle autorità. In Italia, i suoi post sono pubblicati dal quotidiano La Stampa tradotti da Gordiano Lupi. È stata candidata al premio Nobel per la Pace 2012.

Gordiano Lupi, collabora con La Stampa per cui cura il blog di Yoani Sanchez - Generación Y www.lastampa.it/generaciony. Ha tradotto le opere di Alejandro Torreguitart Ruiz, di Guillermo Cabrera Infante, di Felix Luis Viera e di Virgilio Piñera. Ha tradotto Cuba libre di Yoani Sánchez. Ha scritto molti saggi e monografie sul cinema italiano degli anni Settanta. Sito internet: www.infol.it/lupi

 

IL PESO DI UN’ISOLA. OPERA POETICA DI VIRGILIO PIÑERA (PDF)

 

 

 

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Virgilio Piñera

Il peso di un’isola

 

Virgilio Piñera è uno dei grandi poeti cubani che, insieme a Lezama Lima, meglio rappresenta la generazione letteraria sorta attorno alla leggendaria rivista Origines. Maestro di maestri, al giorno d’oggi, la sua opera è oggetto di culto in tutta l’America Latina, e lui stesso si è trasformato in un’autentica leggenda.

 

La isla en peso comprende tutta l’opera poetica di Piñera, riordinata dall’amico scrittore Antón Arrufat, secondo le indicazioni dell’autore, in due sezioni: La vida entera (1968), con le poesie giovanili, e Una broma colosal(1988), pubblicato postumo, contenente le poesie scritte negli ultimi anni della sua vita. Al termine il curatore ha inserito alcune poesie che Piñera non ha mai ripudiato e che completano il corpus della sua opera lirica (Poemas desaparecidos).

 

Virgilio Piñera si considerava un poeta segreto, diceva ironicamente che era un “poeta occasionale”, e non voleva diffondere in pubblico le sue composizioni. Malgrado ciò, la lettura dei suoi versi ci permette di comprovare la grandezza della sua opera poetica, al tempo stesso incredula e appassionata, barocca e colloquiale, essenzialmente incentrata nel dibattito lacerante tra vita e letteratura. Come dice Arrufat, questa dicotomia si manifesta «nell’apprezzamento del corpo umano al di sopra dell’anima, della realtà senza ornamenti e della ricerca del momento vitale prima delle considerazioni etiche, religiose, filosofiche». Solo nella sua ultima tappa Piñera sembra recuperare il valore della letteratura e dell’artista, che considera creatore supremo di qualcosa di decisivo per l’uomo, interprete necessario, anche se ripudiato o mutilato, dell’irrealtà del reale.

 

Gordiano Lupi

 

 

Wendy Guerra, voci da cuba

 

settembre 8, 2012

Wendy Guerra, Tutti se ne vanno -Le Lettere – Euro 18 – Pag. 240 - www.lelettere.it

 

da

Wendy Guerra è un’eccellente scrittrice cubana, nata nel 1970 all’Avana, laureata in regia cinematografica e radiotelevisiva presso la Facoltà di Scienze delle Comunicazioni dell’Istituto Superiore d’Arte. A Cuba, tra le cose positive costruite dopo il 1959, non si diventa registi per caso, ma esiste un vero e proprio corso di studi dove si studia tecnica e storia del cinema, grazie a lezioni impartite da veri maestri che si sono cibati di neorealismo, Godard, Fellini e cinema nordamericano indipendente. Wendy Guerra è un’allieva di Tomás Gutiérrez Alea, il suo stile letterario abbonda di piani sequenza descrittivi e di rapide pennellate che costruiscono caratteri e situazioni. Todos se van, tradotto in maniera egregia da Antonella Ciabatti per la collana Latinomericana, diretta da Martha Canfield per i tipi de Le Lettere, è scritto sotto forma di diario e comincia con una citazione tratta dal Diario di Anna Frank: “Potremmo chiudere gli occhi davanti a tutta questa miseria, ma pensiamo a coloro che ci erano cari, e per i quali temiamo il peggio, senza poterli aiutare”. Inutile dire che l’autrice parla di Cuba sotto metafora.

Il diario è diviso in due parti. Nella prima parte abbiamo una bambina di nove anni che racconta la sua infanzia come un viaggio attraverso il dolore, contesa tra i genitori divorziati, in balia di un padre violento che la picchia, non la manda a scuola e spesso torna a casa ubriaco. “Ho pagato un prezzo molto alto per crescere da sola mentre tutti se ne andavano dall’isola”, afferma la protagonista. E vive un’esistenza costellata di abbandoni, per motivi sentimentali o politici, economici e di semplice vita quotidiana. La ragazzina cresce mentre tutti se ne vanno. Inesorabilmente. La seconda parte del romanzo è la più disperata. La bambina diventa adolescente proprio mentre i regimi socialisti vanno in crisi e crollano uno dopo l’altro, fino alla caduta del muro di Berlino. Wendy Guerra racconta con magistrali pagine di taglio cinematografico e con tono lirico la fine di un sistema, le fughe e la solitudine di una ragazzina che osserva il mondo cambiare mentre vede gli amici scappare. Il Diario potrebbe essere in parte autobiografico, in ogni caso l’autrice ha vissuto in prima persona certe situazioni, perché è nata nel 1970 e alla caduta del muro di Berlino compiva diciannove anni. Wendy Guerra racconta la Cuba dei black-out energetici (apagón), dei poveri solar dove vivono famiglie senza possibilità economiche, dei giovani nascosti in umidi sottoscala per ascoltare i Beatles (“erano più proibiti che mangiare carne”), delle raccolte fallimentari di canna da zucchero, delle persecuzioni agli omosessuali, delle ideologie perdute. Racconta “la guerra fredda del silenzio adolescente”, mixata con la guerra fredda della politica, con un isolamento culturale che allontana i giovani sempre più dal sistema. “Il mio Diario è un lusso, è la mia medicina, è ciò che mi mantiene in piedi. Senza di lui non arriverei ai venti anni. Io sono lui e lui è me. Entrambi non ci fidiamo”. Racconta di una ragazzina che vuole scappare dagli slogan e dalle ideologie, che non sopporta più quel che accade, ma si rende conto che fuggire dalla politica significa andare via da Cuba. E poi il romanzo è costellato di stupende immagini letterarie: “L’Avana odora di gas liquido e di pesce fresco, che viene dall’aria salata del Malecón”. Tutti se ne vanno racconta anche la paura del futuro, perché crollano i muri, i giovani scappano, ma i vecchi non sanno vivere senza muri e temono quel che potrà accadere. La conclusione non lascia scampo: “Sono all’Avana, ci provo, cerco di avanzare ogni giorno un po’ di più. Ma una volta gelato il mare dei Caraibi, non c’è alcuna possibilità di arrivare in nessun posto. Da questa parte continuo a scrivere il mio Diario, a svernare nelle mie idee, senza potermi spostare, per sempre condannata all’immobilità”. Questo è il destino della ragazzina, ma anche della scrittrice, che pubblica i suoi romanzi in tutto il mondo, ma che – come Cabrera Infante e Reinaldo Arenas – è inedita a Cuba, a parte alcune innocue raccolte di poesie.

Todos se van (2006) è il debutto letterario di Wendy Guerra, il libro ha riscosso un enorme successo in Spagna, dove ha vinto il premio Bruguera, è stato tradotto in molte lingue, ma in Italia è uscito nel 2007, passando inosservato, come quasi tutti i libri che raccontano il vero volto di Cuba e che sono invisi al regime. Molto spesso mi faccio una domanda alla quale non so dare risposta: l’apparato castrista dirige la nostra politica culturale? Resta il fatto che Wendy Guerra è una grande scrittrice di cui ci priviamo, a vantaggio di inutili e ripetitivi titoli commerciali. La Guerra ha pubblicato anche Nunca fui Primera Dama (Bruguera – Barcellona, 2008), mentre da poco è uscito Posar desnuda en La Habana (Alfaguara, 2012), entrambi inediti nel nostro paese. Ha dato alle stampe tre raccolte di poesie: Platea oscura (L’Avana, 1987), Cabeza rapada (L’Avana, 1996) e Ropa interior (Bruguera – Barcellona, 2008). Scrive un blog interessante intitolato Habaname per il periodico spagnolo El Mundo: https://www.elmundo.es/blogs/elmundo/habaname/.

Leggiamo un capitolo tratto da Tutti se ne vanno.

I giorni dell’attesa – 1989 (pagina 197)

Ogni mattina mia madre mi chiama per dirmi quale governo dell’Europa dell’Est è caduto. Si gode tutto ciò come se fosse un grande show. Osvaldo chiama poco da Parigi. Quando lo fa mi chiede di prepararmi al viaggio. Io mi occupo di suddividere i messaggi per le mogli degli altri pittori che se ne stanno andando via poco a poco. Non voglio compromettere nessuno su questo Diario. E neppure raccontare alla lettera i miei piani. C’è bisogno di molto silenzio e di molta discrezione per uscire da Cuba in questo momento. Noi artisti siamo presi di mira. Ci sono più poliziotti che critici in mezzo a noi. Non esco quasi di casa, non vado a trovare nessuno perché la maggior parte dei miei amici se n’è andata. Lucia e sua madre sono a Madrid. Se ne sono andate senza dirlo. Di tutti quelli che avevano iniziato la scuola, saremo in pochi a diplomarci. Jesús continua a vendere i quadri di Osvaldo e a procurare borse di studio per allungare il soggiorno dei pittori che se ne sono andati con lui. Ha ottenuto l’appoggio della fondazione Mitterand. Il suo progetto va avanti. Il libro di Cleo sta per uscire in Francia. Mi resta solo da dire addio. La mia rubrica telefonica è piena di segni rossi. Non posso più fare quei numeri. Non mi risponderebbe nessuno. La città è abitata quasi solo da sconosciuti. Tutti se ne vanno. Mi lasciano sola. Il telefono non suona più. Io aspetto il mio turno in silenzio.

Gordiano Lupi

 La ragazza di Alamar

Davide Barilli e Francesco Barilli

La ragazza di Alamar

Fedelo’s Editrice, pagg. 80, € 11,50

 

La ragazza di Alamar è un nuovo racconto cubano di Davide Barilli, anche se sarebbe meglio dire che si tratta di una serie di pennellate caraibiche riunite sotto il comune denominatore dell’amore per Cuba. Il libro segue il successo di Carte d’Avana, premio Microeditoria di qualità 2011, e si avvale dei dipinti del grande regista Francesco Barilli (Il profumo della signora in nero e Pensione paura), da un po’ di tempo dedito alle arti figurative.

Il libro è in duplice versione, italiana e spagnola.

La frase finale del breve testo sintetizza il tono lirico della raccolta. «Restò lì a lungo, fino a quando vide rosseggiare il tramonto sulla baia. Senza smettere di riflettere sul fatto che la ragazza delle rocce di Alamar e anche l’Avana erano proprio come quella fetta di torta sulla guagua. Bellissime, in bilico, fragili, segrete; oscillanti in un miracoloso e precario equilibrio che sembrava poter crollare da un momento all’altro».

L’autore compone brevi racconti che vogliono incuriosire il lettore su molteplici aspetti della vita cubana: Almendrón, Barbacoa, Cambolero, Despues de la lluvia, Escarcha de uñas, Fumigador, Yerbero, Avenida de Italia, Llega y pón, Guagua, Malecon. Terminata la lettura sappiamo qualcosa di più su Cuba, ci togliamo alcune curiosità sulle auto antiche che percorrono le strade della capitale, conosciamo gli autobus cittadini, scopriamo che anche a Cuba esistono le baracche, veniamo sapere che una droga fatta di pietre viene spacciata lungo le vie avanere e percorriamo il lungomare più romantico del mondo. Le descrizioni sono intense, liriche, profonde, gli spaccati di vita realistici, privi di luoghi comuni e mai consolatori. Muoviamo solo un rimprovero a Davide Barilli, che ama Cuba incondizionatamente, quello di non prendere una posizione politica precisa, di tenersi lontano da giudizi di merito, un po’ come fanno gli scrittori che vivono a Cuba e non vogliono avere problemi con la dittatura. Ma va bene lo stesso, tra le pieghe di tanto amore, si nota una tensione verso la libertà…

 

Gordiano Lupi

Il letto o la strada?

 

di Yoani Sánchez

Gocce di sudore, danza, fianchi in movimento, occhi maliziosi. Siamo di notte, durante una festa avanera, quando la tensione erotica si avverte come una presenza tangibile e corporea. Gli sguardi si incrociano, i gesti concordano un incontro nell’oscurità, le labbra decidono senza parole un intenso scambio di baci che si compierà subito dopo. A Cuba la sessualità sembra uscire dai pori e da ogni angolo di strada, sgorga persino dall’asfalto. I vestiti attillati, i sorrisi maliziosi, le frasi lascive, fanno trapelare una sensualità che colpisce chi visita l’Isola per la prima volta. Pare che in ogni momento sia possibile vedere per strada scene erotiche. Le persone si scambiano battute che alludono continuamente al sesso, mentre nel linguaggio popolare sono decine le parole che indicano i genitali. Chi entra in contatto con la nostra realtà in un primo tempo è spinto a credere che ci siamo lasciati alle spalle ogni tabù sul piacere carnale e che abbiamo superato ogni timidezza.

Tuttavia, dietro questa visibile esplosione di piacere erotico, si nasconde una mentalità pacata quando è il momento di affrontare il rapporto sessuale. La disinvoltura che si manifesta con balli ed espressioni, contrasta con il pudore e il silenzio quando si tratta di spiegare ai figli la sessualità o di affrontare l’argomento in maniera seria. Inoltre questa disinvoltura sensuale si scontra frontalmente contro l’incartapecorita ideologia ufficiale. Il governo cubano ha sempre avuto difficoltà nel destreggiarsi con il carattere lascivo del suo popolo. Il sobrio modello impiantato nel paese avrebbe avuto vita più facile se avesse avuto a che fare con un uomo molto formale e dai costumi morigerati. Ma anche questa caratteristica è stata sfruttata dalla sicurezza di Stato, che indaga le relazioni che nascono nei letti e le trasforma in materiale per compiere estorsioni. Quante volte abbiamo sentito dire: “sembra che dispongano di alcune foto compromettenti, in questo modo riescono a farlo tacere…”. Figure pubbliche, diplomatici, corrispondenti stranieri, dissidenti, generali e funzionari vengono spiati e documentati nell’atto di amare e di lasciarsi amare. Viene realizzato un archivio completo che racconta posizioni, incontri e storie di letto, per essere usato proprio quando si deve togliere di mezzo una persona. Questa pratica è stata usata così tante volte che molti cubani sospettano che durante un orgasmo ci possa essere un occhio che spia dal buco della serratura, una macchina fotografica nascosta nel lampadario sul soffitto o un microfono inserito nel corpo dell’amante.

Questo mix di paranoia ed estasi, è stato molto ben raccontato nel romanzo “La moglie del colonnello” di Carlos Alberto Montaner (1). La storia è ambientata negli anni Ottanta, quando truppe cubane appoggiavano il MPLA durante la guerra di Angola. Il colonnello Arturo Gómez riceve una busta gialla che contiene le prove dell’infedeltà di sua moglie, durante un viaggio da lei compiuto in Italia. A partire da questo momento la vita di entrambi si riduce a una manovra politica nelle mani di ufficiali con ambizioni da detective, rappresentanti di una supposta morale rivoluzionaria che vede nel modo di comportarsi della donna un tradimento della patria. Il fatto intimo perde la sua condizione di cosa privata, il piacere si trasforma in colpa e ogni istante di lussuria dovrà essere espiato. In un sistema totalitario, non è possibile che un individuo custodisca il segreto di un adulterio. Bisogna metterlo sotto la luce dei riflettori, in modo che serva da monito, va indicato al pubblico ludibrio, si deve far sapere che l’occhio del Grande Fratello ha visto la condotta frivola e non la perdona. Se poi chi ha commesso l’infedeltà coniugale è sposata con un militare o con un alto funzionario, lo scherno sarà esemplare. Il letto diventa una trappola che provoca maggiori controlli, le lenzuola si trasformano nelle reti di una caccia politica e l’amore carnale in un peccato controllato da fustigatori ideologici.

Questo è un libro dove si analizza il sesso e il potere. La sua lettura rivelerà al lettore il miraggio della cosiddetta morale rivoluzionaria, la falsità di un atteggiamento da ascetismo militante. Coloro che accusano Nuria di essere un’adultera, valutano la sua carne, si spingono ad ammirarne le parti intime, sperando di scambiare il suo corpo nudo con una sorta di misericordia. In ogni caso “La moglie del colonnello” non è soltanto il racconto di come lo Stato si intrometta nei fatti personali, ma è anche un raffinato romanzo erotico, che esula dalla triste realtà degli anni del sussidio sovietico. Le scene erotiche, molte delle quali ci giungono grazie alle lettere che l’amante italiano scrive a Nuria, sono un mix di spudoratezza moderna e di maestosità perpetua. Forse perché una parte di queste sequenze presenta come scenario la città di Roma, intrisa di storia e ricca di siti archeologici. Nuria sperimenta fuori da Cuba quella libertà di sensi e desideri che sa essere rigidamente controllata nel suo paese. Il professor Valerio Martinelli l’aiuta a riscoprire la donna che si nasconde sotto gli atteggiamenti, le maschere, l’opportunismo e i silenzi. In questo caso la sua liberazione come cittadina comincia dal sesso, sgorga dalla sua vagina. Ma nessuno che viva sotto un totalitarismo può sfuggire al suo controllo. Persino all’estero, Nuria è seguita dalla Sicurezza di Stato. La sua piacevole esperienza di emancipazione carnale si trasformerà in una manovra di polizia per incalzarla. Il letto è la trappola tentatrice nella quale spesso si cade, il premio che porta come conseguenza una dura punizione.

La focosità della protagonista, la sua necessità di esprimersi con l’atto sessuale va messa in relazione con il sesso come via di fuga dalla realtà che tanto si pratica a Cuba. L’assenza di spazi di una vera e propria libertà di espressione e di associazione, porta a esprimersi con gemiti e grida di piacere. Invece di scagliare una pietra, ci sfoghiamo con una fellatio; prima di chiedere i diritti civili, mettiamo la nostra lingua in un’altra bocca… un gesto che mentre lo compiamo non permette neanche di parlare. Accarezzare per protestare, rifugiarsi in un orgasmo per non affrontare le truppe antisommossa… mostrarci appassionati, visto che non possiamo farci vedere liberi. Il letto come via di fuga, verso la quale ci spingono, ma senza rinunciare al controllo e alla possibilità di fermarci.

Traduzione di Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

Note del traduttore:

(1) “La moglie del colonnello” di Carlos Alberto Montaner, tradotto da Marino Magliani, è pubblicato in Italia da Edizioni Anordest (https://www.edizionianordest.com/), nella collana Célebres Ineditos di narrativa latinoamericana.

 

 

Intervista a Alberto Montaner

 

VENERDI' 10 AGOSTO

ISOLE TREMITI - SAN DOMINO

ORE 21 e 30 - Piazzetta Lucio Dalla

Gordiano Lupi presenta

CARLOS ALBERTO MONTANER

La moglie del colonnello

Edizioni Anordest

Gordiano Lupi. Conversazione con Carlos Alberto Montaner

07 Agosto 2012

 

Carlos Alberto Montaner è arrivato in Italia, dove parlerà del suo ultimo romanzo: La moglie del colonnello (Anordest Edizioni), nelle Isole Tremiti, in Puglia. La conversazione tra Gordiano Lupi e Montaner avrà luogo il 10 agosto alle 21 e 30, sull’Isola San Domino, piazzetta Lucio Dalla. Lo scrittore e giornalista cubano - che in questi giorni si trova a Roma - ha risposto in anteprima ad alcune nostre domande.

– Quando e come sei uscito da Cuba? È vero che hai svolto attività controrivoluzionaria e che ti hanno condannato a scontare un periodo di detenzione con la falsa accusa di aver tenuto in casa materiale incendiario?

Sono uscito da Cuba nel 1961, oltre mezzo secolo fa. Avevo 18 anni. Sono uscito insieme a centinaia di giovani cubani protetti da diverse ambasciate. Quasi tutti eravamo studenti. Io ero fuggito dal carcere. Stavamo preparando uno sciopero studentesco contro la sovietizzazione di Cuba. Ci mossero la falsa accusa di prepararci a usare la forza, la stessa che Fidel Castro aveva utilizzato per far cadere la dittatura di Batista, ma il nostro piccolo gruppo di studenti non era certo in grado di compiere una simile impresa.

– L’organizzazione Rescate Revoluzionario Democratico e il Frente Revolucionario Cubano non godono di buona stampa in Italia. Puoi dirmi le loro reali finalità? E invece l’Union Liberal Cubana?

L’opposizione alla sovietizzazione di Cuba, in quella prima fase, provenne dagli stessi gruppi che lottarono contro Batista e furono traditi da Fidel Castro. La rivoluzione è stata fatta per costruire un paese libero, con elezioni periodiche, restituendo la Costituzione violata da Batista, ma Fidel si impegnò a copiare il modello sovietico e molti dei suoi ex compagni finirono per ribellarsi. La dittatura cubana ha fatto un grande lavoro per confondere l’opinione pubblica. Quelle campagne contro di me, piene di menzogne, sono tipiche delle operazioni di disinformazione messe in atto dalle dittature di stampo sovietico. Erano all’ordine del giorno in URSS e in tutti i paesi del vecchio Blocco dell’Est. Ricorda che il governo cubano è stato preparato dal KGB e dalla Stasi. Contro di me hanno provato di tutto. Spedirono al mio ufficio di Madrid persino una bomba all’interno di un libro intitolato Una morte molto dolce. Da poco tempo è stato pubblicato un libro che ha per tema proprio queste operazioni di diffamazione. Si intitola El otro paredón.

– Nella Spagna di Francisco Franco hai lottato per la democrazia?

Nella Spagna di Franco mi sono unito ai gruppi liberali. Ho scritto molti articoli sul tema. Dopo il passaggio alla democrazia in Spagna, che vissi con grande entusiasmo, cominciai a pensare che qualcosa di simile sarebbe potuto accadere anche a Cuba. Alla fine degli anni Ottanta, quando cominciò la perestroika in URSS, e dopo la caduta del muro di Berlino, insieme a un gruppo di cubani liberali abbiamo creato la Unión Liberal Cubana per cercare di incentivare un cambiamento pacifico a Cuba.

– Tieni sempre a Madrid il tuo corso universitario oppure fai soltanto il giornalista?

Quest’anno ho smesso di impartire il mio corso Storia della libertà che tenevo all’Università Francisco de Vitoria. Sono andato negli Stati Uniti per lavorare con la CNN in qualità di commentatore politico. Continuo a scrivere articoli sui giornali.

– In Italia alcuni giornalisti di sinistra scrivono che lavori per produrre false informazioni su Cuba e sulle malattie di Fidel Castro, dicono anche che i tuoi articoli sono pieni di odio contro il regime cubano, che tuo padre era un generale di Batista... A me non sembra di trovare nelle tue note politiche odio e livore, ma soltanto molto equilibrio. Puoi smentire queste voci diffamatorie sul tuo lavoro di giornalista?

Mio padre era giornalista, era amico di Fidel Castro, che veniva spesso in visita a casa mia, mio zio Pepe Jesús Ginjaume Montaner era il leader di Fidel Castro in un’organizzazione chiamata Unión Insurreccional Revolucionaria (UIR) alla fine degli ani Quaranta. Non so da dove tirino fuori certe menzogne. Per quel che riguarda le mie critiche a quel sistema, come si deve giudicare una dittatura ostinatamente stalinista, controllata dalla stessa famiglia da oltre mezzo secolo?

– La moglie del colonnello è un romanzo d’amore - meglio… un thriller d’amore - che giunge dopo tanti saggi. Credi che si possano raccontare più cose e parlare meglio dei problemi politici scrivendo fiction?

La cosa davvero importante ne La moglie del colonnello è il problema umano, non il politico. È proprio come lo definisci, un thriller d’amore a tinte erotiche, sull’adulterio e sui valori machisti che imperano a Cuba.

– Il machismo in America Latina - e soprattutto a Cuba - continua a essere un problema?

Continua a essere un problema molto grave. Il governo cubano ha fatto cose che nessuna dittatura ha osato compiere in America Latina. Il castrismo ha rinchiuso gli omosessuali nei campi di lavoro forzato negli anni Sessanta e negli Ottanta li ha obbligati a emigrare dal paese - sotto la minaccia delle armi - durante l’esodo del Mariel. Cuba è il solo governo che spia le donne dei leader e se le scopre in flagrante adulterio lo comunica al marito perché divorzi dalla peccatrice o rinunci al Partito. Il comunismo cubano è un mix di stalinismo e di inquisizione religiosa.

– Nuria c’è moi, come per Flaubert? La protagonista del libro ha qualcosa di tuo?

Tutti i personaggi hanno qualcosa di mio, anche se in maniera indiretta, come accade con i personaggi di ogni romanzo. I personaggi vengono fuori dalle esperienze dirette o indirette dei loro autori

Gordiano Lupi

 
 
 
 "Non lasciar mai che ti vedano piangere" (ed.Anordest).

Valle è un esule cubano e vive a Berlino. Scrittore, critico letterario e noto giornalista, è considerato una delle voci fondamentali della narrativa contemporanea latino-americana. La sua opera è stata elogiata da scrittori come Manuel Vázquez Montalbán e i premi Nobel per la Letteratura Gunter Grass e Mario Vargas Llosa.

Vincitore di importanti premi letterari internazionali come il Premio Internazionale Mario Vargas Llosa, il Premio Internazionale Rodolfo Walsh per il miglior libro al mondo in lingua spagnola e il Premio Internazionale di romanzi noir di Carmona, Premio Novelpol per il miglior romanzo noir pubblicato in Spagna. La casa editrice più importante in Spagna, Planeta, pubblicó Jineteras (2006), considerato dalla crítica il miglior bestseller underground della letteratura cubana degli ultimi cinquant’anni. Un romanzo d’impatto, che intreccia tra loro i destini di personaggi che hanno segnato il Novecento. Su tutti, Charles Chaplin, al centro di intrighi politici e sconcertanti coincidenze storiche: un rapimento ordinato da Hitler nel 1941, dopo aver visto Il grande dittatore; un tentato sequestro dell’attore insieme a Marylin Monroe e Joe Dimaggio, ordito da Ernesto Guevara nel 1952; il trafugamento del cadavere di Chaplin da parte di un gruppo di estrema destra, nel 1978.

Tre storie che convergono nelle parole di una neonazista pentita, vittima di indicibili violenze e salvata dall’orrore proprio dal ricordo dei film di Chaplin.

Le sue memorie dolorose collegano tutte le vicende narrate, che toccano alcuni tra i massimi drammi del Novecento: da una parte, la seconda guerra mondiale, i campi di sterminio e Berlino distrutta e poi lacerata dal Muro; dall’altra, il Sudamerica segnato dalla povertà e il sogno di un’utopica rivoluzione. E' una storia di intrighi legati allo stesso personaggio storico, il che ne fa un romanzo noir con una particolare connotazione storica. 

 

 

“La Storia raccontata dalle donne? Più critica”

 

Alvaro Vargas Llosa, autore di Una Principessa tra due mondi (Ed. Anordest) traduzione di Raul Schenardi, afferma: “Esiste pochissimo materiale su questo personaggio” e spiega perché il nome e la vicenda di Francisca Pizarro sono rimasti nell’oblio.

 

intervista a Alvaro Vargas Llosa di Lara Ferrari (Giornale di Reggio)

 

Di Francisca Pizarro si erano perse le tracce storiche, perché nessuno si era preso la briga di raccontarne l’odissea. “Una principessatra due mondi. La meticcia di Pizarro” (Ed. Anordest) di Alvaro Vargas Llosa, traduzione di Raul Schenardi, è un importante romanzo storico che recupera la figura di Francisca, figlia del Conquistatore spagnolo e di una principessa Inca. Per la prima volta lo scrittore e giornalista, figlio del Premio Nobel Mario Vargas Llosa, riscatta dall’oblio la figlia meticcia di Pizarro. Il lettore si troverà immerso in un appassionante affresco della nascita del Nuovo Mondo visto attraverso gli occhi a mandorla di Francisca e agli avvenimenti capitali del Perú: l’uccisione del padre e le guerre per la successione, le lotte intestine fra i capi indigeni e l’arrivo degli inviati del re di Spagna. Costretta ad abbandonare per sempre la terra natia, si assegna di riscattare il nome e l’eredità del padre.

 Signor Vargas Llosa, Francisca è un personaggio trascurato dalla storia. Come è riuscito a "rintracciarla"?

Un amico mio mi prestò un libro della studiosa di storia Maria Rostworowski su Francisca Pizarro,

che è il miglior saggio storico scritto su di lei, anche se molto breve per la scarsezza di materiale

sulla sua vita. Mi interessò così tanto che iniziai a leggere tutto quello che potevo trovare, che non

è molto. Tutto ciò che esiste è citato nella bibliografia del mio libro. Mi sembrò che mancava

qualcosa che gli storici non potevano sapere: intuire cosa passava per la testa di Francisca nei grandi

momenti della sua vita. Ovviamente usai l’immaginazione. Non invenzioni ma interpretazioni del

perché fece quello che fece. È’ soggettivo, però non si può provare né smentire...

 

Che cosa emerge, di sconosciuto per i lettori, dal suo racconto narrato attraverso la voce di

Francisca?

E' una storia diversa da quella dei libri di scuola? I libri di scuola non parlano mai

di Francisca tranne qualche menzione come “la figlia del conquistatore”. Esiste pochissimo materiale

sulla sua vita infatti l’unica biografia completa che esiste è di una scrittrice peruviana, anche se

è più una monografia che una biografia. Pensai che per riempire questo vuoto fosse necessario

intuire ciò che non si poteva sapere oggetivamente. La mia interpretazione, per esempio, è che

quando Francisca va in Spagna e si sposa con suo zio Francisco Pizarro lo fa per lealtà a suo

padre, che vide morire quando lo assassinarono a Lima quando era molto piccola. E poi, verso la fine

della sua vita, la mia interpretazione del perché si sposi con un nobile lontano dalla famiglia

Pizarro e vada a Madrid a sperperare tutti i suoi risparmi, è che lo faccia per liberarsi dell’ombra dei

Pizarro.

 

Nei suoi occhi di peruviano, e anche negli occhi di Francisca, come vede lei la nascita del Nuovo Mondo e oggi, che cosa è diventato?

È uno dei più grandi fatti della stora dell’umanità. Fu traumatizzante e lo è ancora oggi. La  conclusione è che condusse il nostro emisfero nel mondo occidentale, però le istituzioni dei paesi colonizzati dalla Spagna e dal Portogallo in America Latina e nei Caraibi non sono ancora consolidate. Un’importante questione ancora irrisolta sono i meticci. Ciò che è stato fatto a riguardo

fino a oggi non è sufficiente. Di fatto ancora oggi esistono ferite aperte di chiara eredità  precolombiana in certe zone

 

Invece, il Perù, il suo Paese, in che stato di salute versa oggi? Secondo lei, la Storia ha un debito verso il Perù?

Il Perù è uno dei paesi dell’America latina che va meglio. Ha una democrazia, anche se debole,

ma che si sta rinforzando poco a poco. L’economia sta facendo passi da gigante. Una parte della

popolazione non crede ancora nella democrazia ma il cammino è quello giusto. Si dice sempre che la Storia è raccontata dagli uomini. E' così, non le pare?

Lei con questo libro dà un contributo in senso contrario. Ed è un uomo. Che cosa sarebbe la Storia raccontata dalle donne?

Hanno raccontato la storia gli uomini perché alle donne non ne

è stata data l’opportunità. Se la raccontassero le donne sarebbe diversa perché volente o nolente

la storia che prevale è sempre quella dei vincitori e dei potenti. Supponendo che la storia che ci

racconterebbero le donne sia la stessa che quella che ci hanno raccontato gli uomini, sarebbe

senz’altro più ironica, più intuitiva, più attenta alla psicologia che sta dietro ai fatti, più critica rispetto

alla violenza e allo Stato. Mi piace pensare che sarebbe così.

 

 

 

El otro paredon – L’altro muro

 

 

Interventi di Rafael Rojas, Uva de Aragón, Juan Antonio Blanco, Ana Julia Faya, Carlos alberto Montaner, Gordiano Lupi

 

Prefazione di Ramón Guillermo Aveledo

Ci sono molti modi per distruggere una persona, una di quelle è togliendole prestigio. Per la prima volta accademici e giornalisti con diverse idee politiche analizzano i metodi con cui il governo cubano, da oltre mezzo secolo, demolisce le reputazioni di persone e gruppi sociali. Questa seconda edizione ampliata si avvale della prefazione del noto accademico venezuelano Ramón Guillermo Aveledo e di un articolo dello scrittore e giornalista italiano Gordiano Lupi, traduttore del blog Generación Y di Yoani Sánchez.

Se diamo retta alla propaganda governativa, a Cuba, tra le persone che si oppongono al sistema, preoccupate per il destino nazionale e senza aver commesso alcun crimine, non c’è una sola persona decente. Tutti coloro che osano emettere una critica sono immediatamente definiti terroristi, traditori della patria, malfattori o amorali.

 

Yoani Sanchez

Dal post "Delinquenti comuni" nel blog Generación Y

In questo libro, non affrontiamo la distruzione di reputazione che potrebbe sviluppare un partito politico di opposizione contro il governo o un gruppo di consumatori insoddisfatti contro un ristorante. Non stiamo parlando di diffamazioni personali o di critiche istituzionali. Ci riferiamo a una forma organizzata di terrorismo statale orientato verso la deliberata e completa distruzione della credibilità di una persona, gruppo o istituzione.

El otro paredón esamina questo tema alla luce dell’esperienza cubana ricorrendo a diversi esempi: il politico Carlos Márquez Sterling, l’impresario Amadeo Barletta, il giornalista Carlos Alberto Montaner e centri di studio accademici creati dallo stesso regime.

 

Rafael Rojas, noto intellettuale e storico delle idee cubane più rilevanti della sua generazione, centra la sua analisi sul fatto che il regime cubano si è sempre impegnato a fondo per costruire una storiografia ufficiale che contribuisca a legittimarlo.

Uva de Aragón, importante scrittrice dell’esilio storico cubano, impegnata in una politica di riconciliazione, analizza il modo in cui la classe politica precedente alla rivoluzione sia stata demonizzata e l’arbitrarietà dei giudizi che hanno infangato la reputazione di uomini come suo padre, il Dr. Carlos Márquez Sterling, presidente dell’Assemblea Costituente nel 1940.

Juan Antonio Blanco incentra il suo lavoro sull’impresario Amadeo Barletta e mostra come il governo cubano sia riuscito a demolire la sua reputazione, in primo luogo per confiscare arbitrariamente i suoi beni, quindi per distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale quando, nel 1989, le strutture militari cubane sono state coinvolte in uno scandalo per operazioni di narcotraffico.

Altri due autori, Ana Julia Faya e Carlos Alberto Montaner, espongono come anche partendo da prospettive opposte (marxista e liberale), entrambi siano stati vittime di questa sorta di terrorismo di Stato che è la demolizione della reputazione.

Gordiano Lupi, scrittore italiano e giornalista specializzato in Cuba, espone le campagne di demolizione della reputazione della blogger cubana Yoani Sánchez in Italia.

Gli storici devono fare uso di una metodologia rigorosa e imparziale per determinare il comportamento di ogni persona. I fatti vanno contestualizzati per poter capire bene le rispettive posizioni. La riconciliazione tra cubani reclama un rispetto della storia e dei comportamenti dei singoli protagonisti.

 

Per ottenere copie a scopo recensione: marlene.moleon@gmail.com

Marlene Moleon

 

 

 

 

 

Quell’anno a Cuba, il nuovo romanzo di Marta Lock: intervista all’autrice

 

 

 

Marta Lock, due romanzi in meno di un anno, com'è andato il primo? Molto bene, ho ricevuto molti consensi dai lettori che si sono appassionati alle vicende di Sara, la protagonista di Notte Tunisina e alla scorrevolezza dei dialoghi e delle descrizioni, evidenziata da tutti. Ed è proprio ciò che desideravo che avvenisse: che tutti potessero avvicinarsi ai miei romanzi e ritrovarsi nelle emozioni dei miei personaggi, mi piace scrivere per tutti, senza creare quelle contorsioni letterarie che a volte appesantiscono i romanzi e fanno desistere dall'andare avanti nella lettura una buona fetta di persone.

 

Parliamo del tuo nuovo lavoro, magari chiarendo subito un punto fondamentale: Quell’anno a Cuba è il seguito di Notte Tunisina? In realtà Notte Tunisina non ha un seguito, ho preferito lasciare un finale aperto perché in fondo è anche la vita che è così, un percorso sempre in cambiamento durante il quale non si può sapere cosa accadrà domani.

 

Tracy, la protagonista di Quell’anno a Cuba, è una donna moderna e forte per la quale la carriera ha un ruolo talmente fondamentale da essere prioritaria anche sui sentimenti: parlaci un po’ di lei. Hai individuato il punto essenziale: lei ha un sogno legato all’amore principale della sua vita, che è la danza, e nel momento in cui si trova davanti all’insperata possibilità di poterlo realizzare non esita a rinunciare a un amore che in quella fase della vita le avrebbe tarpato le ali. Un fidanzato geloso come Marc non le avrebbe mai permesso di fare serenamente e autonomamente la scelta di andarsene a vivere e lavorare a Cuba per un intero anno, quindi sceglie di chiudere la relazione e accetta l’offerta di lavorare come coreografa nell’hotel della New Travels.

 

Povero ragazzo, voi donne moderne siete senza cuore! A parte gli scherzi, l'altra protagonista del romanzo è Cuba.. E’ vero, è proprio così, infatti il secondo sogno di Tracy era proprio quello di lavorarvi per completare la sua formazione artistica studiando i balli tipici di quel posto meraviglioso. Ma una volta arrivata a destinazione viene conquistata da tutto: i colori, gli odori e soprattutto la gente che la fa sentire a casa pur non essendoci mai stata prima di allora. E lentamente in quel posto tanto lontano dal Canada, dove è nata e vissuta, scopre una parte di sé che non credeva di avere, tanti erano stati gli anni di studio della rigida disciplina data dal ballo che l’avevano portata a mantenere sempre il controllo sulle proprie emozioni, da averle fatto perdere la capacità di lasciarsi andare. Ma l’incontro con Agostino, un ragazzo cubano con il quale inizia una tormentata relazione, le sconvolge talmente tanto i sensi da tirarle fuori tutta l’impulsività soffocata e gestita per tutta la sua esistenza.

 

Bello anche il rapporto di amicizia che si sviluppa tra Tracy e i ballerini cubani dell’hotel, qualche anticipazione ai lettori? Certo!  In questo romanzo la protagonista sviluppa un amore talmente profondo per la gente del posto da legarsi ogni momento di più alle persone che le stanno vicine, soprattutto a Barbarita che l’aiuterà a rendere concreto il suo progetto di creare una compagnia di ballo, e i ragazzi del suo staff, al punto da scegliere di fare un gesto molto bello per aiutarli a realizzare il sogno che coltivavano da sempre, cioè avere la possibilità di uscire da Cuba e vedere il mondo. Grazie a lei lo faranno senza dover scendere a compromessi perché deciderà di fondare un corpo di ballo per far conoscere la cultura cubana nel suo paese, il Canada, e poi in seguito al successo ottenuto, anche in Europa. Ma di nuovo sceglierà la carriera a discapito dell’amore.

 

Facciamo un passo indietro nella storia: a un certo punto Tracy e Agostino fanno un viaggio in giro per l’isola. Da come li descrivi sembra conosca molto bene quei posti.. Ho vissuto lì per otto mesi, quindi sì, tutti i posti descritti li ho visti, vissuti e respirati in prima persona, e li ho amati con tutto il cuore. In un certo senso questo romanzo è anche un omaggio a Cuba e alla sua meravigliosa gente, alla sua cultura e alla sua vera essenza, che alla fine diventeranno irrinunciabili per Tracy. Come irrinunciabile è l’amore per la professione che ha avuto sempre la precedenza su tutto: ogni volta che si è sentita costretta a fare una scelta ha scelto la carriera di ballerina ma nel momento in cui si sente, invece, completamente libera di decidere opta di sua volontà per un compromesso diverso e inaspettato.

 

Già, perché forse, in fondo ciò che vuole è proprio quello, non dover fare una scelta… Esatto, e nessuno era mai riuscito a comprendere questa sua necessità, o forse qualcuno sì…

Marta Lock

Quell'anno a Cuba: Da luglio in libreria. Ordinabile online su  www.ilfiloonline.it,  www.ibs.it, www.bol.it, www.libreriauniversitaria.it, Edizioni Albatros ( 284 pagine € 13,00 )

 

 


Fare a pugni nella palestra di Cuba

Il romanzo di Fauquemberg sul pugilato e sull’oscurità dell’animo umano

Il mistero di Yoangel Corto, il colosso cubano che non riesce a capire la differenza tra vincere e combattere, cresce lentamente lungo le pagine di questo ennesimo bel libro pubblicato da Keller Editore. Mal Tiempo(traduzione di Tatiana Moroni, 208 pp., 14 euro) è un romanzo sul pugilato e sull’oscurità dell’animo umano scritto da un francese che dimostra di conoscere bene l’una e l’altra cosa, e di conoscere bene pure Cuba, dove si svolge solo una parte della storia, ma che tutto sommato non abbandona mai il lettore, anche solo con la sua idea, la sua eco, nemmeno per un momento.
David Fauquemberg, trentanove anni, giornalista e viaggiatore, critico teatrale e narratore, è riuscito a costruire un congegno che comincia a funzionare alla perfezione solo da un certo punto in poi. L’inizio è un po’ faticoso, forse, rarefatto, non tutto ciò che è raccontato sembra meritare attenzione, i personaggi scivolano via, tratteggiati un po’ frettolosamente, lo stesso io narrante non assume sembianze nitide, non si lascia capire.
Chi è, esattamente, questo vecchio pugile che ha deciso di farla finita col ring e si ricicla come reporter per andare a seguire un torneo in un’isola dei Caraibi per conto di una rivista francese? È malinconico, naturalmente, come ci aspetteremmo, forse addirittura triste. Ma non si scopre mai troppo, non arriva ad avere un’identità propria, un timbro ben definito. Tuttavia pian piano l’opacità del suo sguardo passa in secondo piano, perché a irrompere nella trama intrecciata da Fauquemberg è l’imperscrutabile Yoangel Corto, peso massimo formidabile, ragazzo di campagna a cui la natura ha regalato forza, talento e intelligenza, ma non la voglia di vincere – o di vincere secondo i canoni concepiti dagli uomini.
Inquieto, perso in una Cuba ingiusta ma mai fino in fondo, tra rum, blandi dissidenti e rivoluzionari decisi a non fare i conti con la disillusione, Corto prende i contorni sempre più netti di un antieroe antico nel suo incedere e nel suo rimuginare. Senza retorica, mollando la fin troppo battuta epica pugilistica che inizialmente pareva rischiare di cavalcare, Fauquemberg tratteggia la parabola del giovane campione servendosi di uno stile essenziale, spolpato, ed efficace. Più Jean-Claude Izzo che Hemingway, si direbbe, anche se qui non c’è traccia di porti, di marinai e di bricconi: piuttosto, insieme a quelle ottuse dei funzionari del Partito, emergono le figure fiere e nobili degli allenatori cubani e dei loro spavaldi pupilli, si percepisce il rispetto che un intero continente, dalla Terra del Fuoco fino ai confini Yankee, nutre per il popolo della Isla Grande.
Il torneo, immaginato in una caotica Trinidad, è descritto con reale maestria, e la stretta finale sull’inaccessibilità di Yoangel è incalzante, avvincente, riuscendo a far accantonare ogni eventuale perplessità accumulata in precedenza. Un romanzo imperfetto, Mal Tiempo, che come il buon rum cubano dà il meglio di sé quando il tempo comincia a invecchiare. 

Giovanni Dozzini

 

 

Gordiano Lupi  - Fidel Bibiografia non autorizzata

 

Per alcuni Cuba resta un sogno, una piccola isola comunista situata nel Mar dei Caraibi proprio di fronte al gigantesco colosso capitalista americano, un Davide straccione e sporco pronto a sfidare Golia con caparbietà, ostinazione e un pizzico di sana temerarietà a colpi di giustizia sociale, lavoro e istruzione per tutti, lotta al razzismo, solidarietà con i più deboli, spirito rivoluzionario indomito figlio di un socialismo utopistico e idealizzato che scalda il cuore di chi ancora crede che su questa terra si possa creare una società migliore, giusta, a misura d’uomo. Per alcuni Cuba resta un sogno, appunto. Parlare di Cuba senza esserci stati, senza averci vissuto ma da cubani, non come turisti viziati in uno dei numerosi resort per turisti, veri e propri Disneyland caraibici, non avrebbe senso a meno che non si decida di fidarsi dell’esperienza di chi ci è stato e descrive cosa ha visto, senza preconcetti, senza motivazioni occulte che non siano l’amore per la verità, l’obbiettività e il coraggio di dire anche cose scomode quando serve. La mia esperienza di Cuba è un’esperienza riflessa, mediata dalle voci dei cubani esuli, degli entusiasti occidentali che sognano un giorno di lasciare le comodità borghesi, la ricchezza corrotta del nostro decadente capitalistico inferno per rifugiarsi in quel piccolo Eldorado. A Cuba non ci sono mai stata, per cui non mi resta che fidarmi, delle voci degli altri, di chi la ama o la odia. E dire Cuba inevitabilmente significa parlare di Fidel Castro. Perché Fidel Castro è Cuba, volenti o nolenti a questo non si sfugge. Gordiano Lupi, un esperto di cose cubane, traduttore di scrittori come Alejandro Torreguitart Ruiz, curatore della versione italiana del blog di Yoani Sánchez, Generación Y, anima e icona simbolo del dissenso anticastrista, ha da pochi mesi pubblicato con le Edizioni A.Car una biografia non autorizzata di Fidel Castro, e devo dire che leggendola sono rimasta sorpresa, innanzitutto perché conosco il punto di vista fortemente critico sul regime in atto a Cuba del suo autore, conosco il suo spirito caustico e corrosivo da toscano verace che gli ha causato non pochi scontri dialettici nel corso degli anni, conosco le sue lotte instancabili a denunciare le condizioni degli oppositori in carcere, delle jineteras, mi aspettavo toni accesi, polemici, intransigenti, estremisti e invece ho trovato una grande sobrietà di linguaggio, una calma profonda, una obbiettività priva da ogni faziosità. Attacchi ce ne sono, impennate che non comparirebbero in una agiografia di regime pure, Gordiano Lupi non ama Fidel Castro ma compie uno sforzo insolito e raramente fatto da chi lo combatte, separa Fidel Castro uomo, da Fidel Castro politico o dittatore, che dir si voglia. Molto pacatamente, con ragionevolezza e senza intenti diffamatori o offensivi parla di tutto, dall’eccidio nascosto del 13 luglio 1994, a casi di corruzione, ma ciò che si evince è essenzialmente la delusione di un uomo di sinistra verso una rivoluzione mancata che avrebbe potuto trasformarsi in un autentico paese socialista e invece è diventato un regime. Questa è l’unica vera condanna che si percepisce, i dittatori, sono dittatori, non c’è altro da aggiungere. Se mai Fidel Castro leggesse questo volumetto che potrebbe essere un pamphlet polemico ma non lo è, lontano dai riflettori, lontano dal ruolo istituzionale che ancora ricopre sebbene dal 2006 il fratello Raul l’abbia sostituito, non potrebbe che provare una certa amarezza certo, ma soprattutto considerare obbiettivamente i suoi errori, la sua mancata lungimiranza se vogliamo. Certo c’è anche da considerare che Cuba non è Haiti, e Fidel Castro non è Pinochet, niente desperacidos, squadroni della morte, oppositori seppelliti in mare. Yoani Sánchez pur con tutte le limitazioni che deve subire, è libera in casa sua di continuare la sua lotta neanche tanto silenziosa. Comunque il fatto che Castro è Cuba è una grande verità, il suo carisma, il suo ascendente ha costruito il regime cubano che forse non sopravvivrà alla sua morte. Forse Castro di questo è consapevole, e forse lo sono anche i suoi oppositori, dopo non resterà che affidare alla storia il suo impalcabile verdetto.

 

Giulietta Iannone

 

 

 

Seguo da qualche tempo l’incessante impegno giornalistico e umano di Gordiano Lupi a favore del popolo cubano. Quando un uomo decide di intestarsi una causa a favore degli ultimi, degli oppressi, riscuote sempre la mia ammirazione. E Gordiano è un uomo che non ha peli sulla lingua, quel che deve dire, lo dice. O lo scrive, anche se questo rischia di attirargli qualche guaio. E di questi tempi grami, dove i più preferiscono asservirsi al potere o nel migliore dei casi starsene zitti, persone come lui costituiscono una risorsa per la società. Un giornalista, o uno scrittore, utilizza la penna per sensibilizzare le coscienze, non imbraccia il mitra, non guida le rivolte, ma anche la penna può rivelarsi estremamente efficace quando riesce a dare voce a quanti sono censurati da regimi totalitari che non ammettono il dissenso. Mi riferisco agli articoli di Yoani Sánchez che Gordiano traduce in Italia. Nell’aprile 2007, è stato pubblicato anche un libro presso Rizzoli, una raccolta di post del blog di Yoani, dal titolo Cuba Libre – vivere e scrivere all’Avana, curata e tradotta sempre da Gordiano Lupi. Ho trovato questa biografia su Fidel Castro estremamente equilibrata, quasi il giornalista avesse voluto fare uno sforzo per mantenersi in una sorta di baricentro ideale, evitando che il testo venisse influenzato più di tanto dalla sua opinione (immagino pessima) del dittatore cubano. Perché di questo a mio parere si tratta: di un dittatore alla pari degli altri, i vari Gheddafi, Mubarak ecc. Non esistono ideologie che tengano quando si impone il potere con la forza, si eliminano i dissidenti, si reprimono i tentativi di riforme, si tiene con la coercizione un popolo sotto il proprio dominio. Anche perché mantenere uno Stato di polizia, una forza così imponente di uomini affinché siano in grado di tenere sotto controllo e assoggettare con le armi il rimanente della popolazione, comporta oneri elevatissimi in un’economia già disastrata, in parte a causa dall’embargo imposto dagli americani. A meno che non si abbia il petrolio, ma non è il caso di Cuba. Il ritratto che ne viene fuori di Fidel Castro da questa biografia è quello di un uomo erudito e colto, brillante oratore (o forse meglio dire incantatore di serpenti) fondamentalmente onesto, ancorato nelle sue convinzioni. Un uomo però che predica comunismo e uguaglianza, raziona gli alimenti al suo popolo ma all’interno del proprio bunker non si fa mancare nulla, banchetta con aragoste e caviale, e si fa arrivare dall’Italia i migliori vini. Un uomo cristallizzato nella conservazione di se stesso, determinato a perpetrare il suo potere all’infinito, sordo ai richiami di un mondo che corre a velocità supersonica, mentre a Cuba si coltiva ancora la terra con l’aratro trainato dai buoi. Ha smussato il razzismo, ha favorito l’alfabetizzazione, ha costruito ospedali ma a che serve tutto questo quando un popolo viene privato del suo diritto fondamentale: la libertà. Gli intellettuali fuggono da Cuba, o preferiscono tacere. O compiacerlo. Gabriel García Marquez definisce Fidel Castro “un buon dittatore”. Lapidario il giudizio di Gordiano Lupi: “Non esistono buoni dittatori, solo dittatori”. Da un premio Nobel per la letteratura ci si aspetterebbe una maggior presa di coscienza. Un libro da leggere con grande interesse perché ci rivela aspetti inediti o sconosciuti alla gran parte dei lettori, di un uomo in grado di costruire una leggenda attorno al suo nome, un uomo nel bene e nel male destinato a passare alla storia.

 

Salvo Zappulla

 

Carlos Alberto Montaner debutta in Italia!

 

 

Tante novità in arrivo per le edizioni Anordest. La casa editrice di Villorba (Treviso), di recente sottoposta a regime di sorveglianza da parte della polizia a seguito del ritrovamento di un volantino a firma di un ayatollah iraniano che propone la condanna di Attar Farid al-Shahid e del suo libro ''I fiori del giardino di Allah'', sta per lanciare la nuova collana Célebres Inéditos, diretta da Gordiano Lupi (talent scuot, animatore de Il Foglio Letterario, appassionato di letteratura cubana e cinema horror, oltre che traduttore del blog di Yoani Sánchez), che porterà in Italia autori noti all'estero ma ancora mai pubblicati da noi. Ad aprire sarà in libreria "La moglie del colonnello" di Carlos Alberto Montaner, scrittore cubano che vive in esilio tra Madrid e Miami dal 1970. Montaner è autore di 25 libri, molti dei quali tradotti in inglese, portoghese e russo. È stato definito il giornalista latinoamericano più letto al mondo. "La moglie del colonnello" è la storia di un adulterio e delle sue conseguenze. Montaner approfitta di un tema universale per analizzare la repressione della sessualità a Cuba.

 

 

La moglie del colonnello. Gordiano Lupi intervista Carlos Alberto Montaner

 

07 Aprile 2012

 

Incontriamo Carlos Alberto Montaner, autore de La moglie del colonnello, per parlare del suo ultimo romanzo, appena uscito in Italia dopo aver riscosso un buon successo negli Strati Uniti e in Spagna. Si tratta di una storia d’amore, ma diversa dal solito, perché è il racconto del tradimento della moglie di un eroe della rivoluzione cubana che si trasforma in un thriller erotico con un finale imprevedibile. L’autore scrive la storia dalla parte della donna, compiendo un’indagine profonda sulla sessualità femminile e sul machismo cubano, ma non trascura di denunciare la mancanza di libertà che affligge Cuba dal 1959. Il romanzo è ambientato nella situazione cubana degli anni Ottanta, in piena guerra d’Angola, ma gran parte della storia (il tradimento di Nuria) si svolge a Roma. La psicologa cubana vive nella città eterna un momento disinibito della sua vita, perché conosce il sesso senza complicazioni sentimentali con un amante italiano, convinta che il rapporto extraconiugale non metta in pericolo la relazione con il marito. Valerio Martinelli, il seduttore italiano, è un erotomane consumato, un uomo che fa del sesso un motivo di vita ed è destinato a condurre Nuria su una strada molto pericolosa. Marco Aguinis definisce Carlos Alberto Montaner un erede di Henry Miller, ma l’autore non è del tutto d’accordo perché ritiene la narrativa di Miller molto più brutale. «La rivoluzione comincia con il chiederti la coscienza e finisce per confiscarti i genitali», afferma lo scrittore cubano in esilio, il giornalista più letto del mondo latinoamericano.

– Il comunismo controlla le infedeltà coniugali?

Il comunismo è un occhio che spia e che vede tutto. Il Governo di solito notifica ai membri più importanti del partito i dettagli sulle infedeltà delle loro mogli. La donna deve stare a casa, secondo il Partito, e con le gambe ben chiuse.

– Cosa cerca il castrismo sotto le lenzuola?

Si tratta di machismo-leninismo, una variante dialettica del testosterone. Cerca di sottomettere la santa sposa. Per fortuna non ricorre alla ablazione del clitoride.

– Perché il comunismo pretende che le donne dei capi debbano essere “sottomesse madri di famiglia, monogame e dedite a una sessualità in esclusiva”?

Perché il comunismo è fallocratico. I gerarchi cubani ignorano la natura umana. Cuba è una società patriarcale organizzata intorno a un caudillo.

– Il maschio rivoluzionario può essere promiscuo? La condotta trasgressiva eterosessuale viene censurata?

Al contrario. La esaltano. Ma quando la vedova del Che, che era giovane e bella, decise di sposarsi di nuovo, a Fidel non andò per niente a genio. Le donne dei miti devono morire caste e vestire di nero, come le eroine di Lorca.

– Fidel Castro ha numerosi figli illegittimi. Due di loro vivono negli Stati Uniti e altri a Cuba. Che cosa dicono del padre?

Fidel è un padre padrone. Meglio dire era, perché ormai è quasi fuori gioco. È stato un pessimo presidente, ma come capofamiglia ha fallito completamente.

– Nuria Garcés, psicologa, è La moglie del colonnello Arturo Gómez, che sta combattendo in Angola. Nel suo romanzo, la donna tradisce il suo uomo in Italia, a Roma, con un erotomane incallito, un certo Martinelli. L’ombra della dittatura cubana si spinge fino alla città eterna per punire Nuria e al tempo stesso per tutelare il suo onore. Quale onore?

La disgrazia di Nuria è quella di non sapere che l’onore della rivoluzione abbia sede nel suo organo sessuale. Per una donna non è facile vivere con un poliziotto nascosto nelle mutande.

– Lo Stato cubano è caratterizzato da un incredibile machismo?

Certamente. È una proiezione del machismo di Fidel, che per decenni ha tenuto nascosta la sua sposa.

– Il machista Castro ha trasformato l’isola in un paradiso sessuale.

Specialmente per i turisti.

– La letteratura ha un sesso?

A volte. Ci sono sia una letteratura clitoridea che una letteratura fallica, ma non sono sempre associate al sesso dei suoi autori.

– Fidel Castro potrebbe essere equiparato al Marchese De Sade?

Se proprio devo trovare un antenato aristocratico per Fidel, credo che sia più vicino al conte Dracula.

 

Gordiano Lupi