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Aldo Abuaf e i pionieri del turismo a Cuba    

 

Articolo redatto da Aldo Abuaf (foto) 

 

Cuba e il turismo (1)

 

Prima del 1959, il turismo verso Cuba era monopolio degli statunitensi che vi si recavano, maggiormente, per soddisfare i propri vizi: gioco, alcol, sesso. Questi fattori ebbero un grande impulso specialmente con il 2° governo di Fulgencio Batista Zaldívar dopo il colpo di stato del marzo 1952. I suoi legami con le cosche mafiose si fecero sempre più stretti, fino alla sua capitolazione. Era anche logico questo monopolio, dal momento che l’Europa è lontana ed all'epoca non esistevano mezzi di locomozione rapidi ed efficienti che permettessero, come più tardi avvenne, delle visite di media e corta durata.
Negli anni ’60 il termine “turismo” fu completamente dimenticato perché le priorità di un Paese in cambiamento radicale erano ben altre e vi erano anche motivi di sicurezza interna e per eventuali visitatori. Erano attive sacche controrivoluzionarie armate, attentati e sabotaggi erano frequenti, l’opposizione radicata in Florida non aveva rinunciato ai suoi piani, nonostante la sconfitta della Baia dei Porci. Cuba era anche isolata internazionalmente a causa delle pressioni degli Stati Uniti: in America solo Canada e Messico avevano mantenuto qualche relazione e in Europa Occidentale solo la Spagna, fu inevitabile rafforzare i legami col campo socialista. Soltanto nella decade successiva si riaprì l’ingresso ai visitatori “non di affari” o di carattere non strettamente politico, riutilizzando strutture che stavano diventando ormai quasi inutilizzabili per gli anni di abbandono. Non si volle comunque, allora, un turismo indiscriminato, ma un turismo con basi sociopolitiche e culturali, pertanto avveniva già una “selezione” all’origine sconsigliando la meta a chi sognava il classico viaggio di divertimento ai Caraibi.
La “nascita” del turismo moderno a Cuba, almeno per quello che riguarda la parte italiana, in un certo senso trainante per l’Europa, si deve a un gruppetto di compagni comunisti legati all’impresa Interexpo che negli anni della “guerra fredda” si occupava di scambi commerciali con l’allora Unione Sovietica. A Franco Lucchetta e Arnaldo Cambiaghi in particolare, con altri, venne l’idea di creare un flusso turistico verso Cuba attraverso l’Agenzia Italturist, di proprietà della Lega delle Cooperative ed alla metà degli anni ’70 del secolo scorso parteciparono ad un “seminario” nell’Isola indetto dall’INIT che fu l’ente predecessore dell’INTUR e poi MINTUR. A loro, si erano aggiunti, nel frattempo, Alfredo Bassani e Vando Martinelli come settore operativo. La tecnologia aeronautica era ormai data dai motori a reazione e le distanze si riducevano in termini di tempo. 
Giunti all’Avana, conobbero gli incaricati di sviluppare il settore turistico, affidato all’Agenzia Cubatur, unico organismo ricettivo e gettarono le basi per iniziare un turismo “selezionato” attraverso Italturist e poi con la consociata Unità Vacanze.
I primi viaggi furono quasi rocamboleschi, dal momento che Cuba era una meta molto “seguita” dai servizi di sicurezza italiani e “alleati”. Le partenze avvenivano da Milano con “destinazione” Praga. In qualche caso, per motivi di operatività aerea si dovette raggiungere la capitale ceca in treno. Fortunatamente questo periodo di “discrezione” non durò molto, era ridicolo veder sbarcare a Malpensa dei turisti provenienti dall’Europa centro settentrionale con cappelli di paglia, sigari e vistose abbronzature. In seguito si aprirono altre vie come Berlino Est e Madrid. I voli via Paesi socialisti erano costretti, oltre al cambio di aereo nelle rispettive capitali, ad uno scalo tecnico in Canada (Montreal o Gander, nell’isola di Terranova), si effettuavano con aerei del tipo TU134, apparecchi di evidente derivazione militare, nella tratta europea e IL62 in quella transatlantica. La poca autonomia degli IL62 li costringeva, in caso di forti venti contrari, ad effettuare uno scalo tecnico anche a Shannon (Irlanda) prima di affrontare la traversata atlantica. La via più “comoda” era ovviamente da Madrid che si raggiungeva con un Boeing 727 di Iberia e poi, dapprima con un Mac Donnel Douglas DC8 e successivamente DC10 della stessa compagnia che non aveva mai cessato di volare a Cuba nonostante il regime franchista. A questo proposito, alle pressioni degli USA perché sospendesse i voli, Franco rispose che “Cuba era un affare di famiglia”. Non erano comunque viaggi confortevoli, le coincidenze non erano quasi immediate come oggi, per esempio da Milano si partiva il mattino e si doveva attendere a Madrid fino a notte fonda per proseguire verso l’Avana. Fortunatamente per gli italiani non era un problema uscire e rientrare dall’aeroporto e passare la giornata e parte della serata in città. In questi primi anni, tutti i partecipanti a viaggi a Cuba erano fotografati da camere occulte in aeroporto e schedati dalla DIGOS. La maggior parte di questi primi turisti era, naturalmente, di matrice se non comunista almeno di sinistra, però non proprio tutti, c’era chi era comunque curioso di conoscere un Paese così “isolato” dal resto del mondo. Le cifre erano irrisorie, i primi anni si parlava di 1500/2000 partenze l’anno. Per un accordo sottoscritto fra i partiti comunisti dei due Paesi, gli italiani potevano entrare a Cuba per 90 giorni senza necessità di visto per ragioni turistiche. Non c’era però reciprocità da parte de Governo italiano che richiedeva il visto per l’ingresso dei cubani in Italia.
All’epoca gli stranieri in giro per Cuba erano per la stragrande maggioranza cittadini dei paesi del COMECON, perlopiù sovietici e i pochi italiani che circolavano per le strade venivano avvicinati dai cubani con un approccio tipo: “tovarich, tu soviet?” L’unico turismo di un certo rilievo economico e di presenze era quello canadese, ma era diretto alle spiagge. Non facevano turismo “culturale” nelle città.
Non esistevano strutture per il “turismo individuale” che non veniva accettato, ma si doveva arrivare in gruppi precostituiti e con un itinerario prestabilito. Il servizio era di pensione completa e tutte le visite erano incluse nel “pacchetto”, compreso il celeberrimo cabaret Tropicana. Naturalmente, una volta giunti al luogo di destinazione, nel tempo libero, si aveva la possibilità di girare per conto proprio, ma...l’offerta di servizi o beni non era proprio allettante o soddisfacente la domanda.

 

 

Cuba e il turismo (2)

Sono passati quasi 35 anni e molti dettagli, nomi, volti, si sono persi nei ricordi, ma l’essenza di quel mio primo viaggio a Cuba è ancora fresca e presente nel suo complesso. All’epoca collaboravo con Italturist in veste di accompagnatore turistico, in particolare per i viaggi nell’URSS, ma un bel giorno mi proposero di accompagnare un viaggio a Cuba, sapendo che parlavo già un po’ di spagnolo. Del gruppo di “cubani” facevano già parte Elio Borgonovo, Luciano Colombi, Sandro Perugino, Mirella Villa e altri di cui purtroppo ho dimenticato i nomi. Non me lo feci ripetere due volte ed accettai l’incarico con entusiasmo, era il dicembre del 1978. Partenza da Linate nel primo mattino via Ginevra/Madrid (non c'erano i posti sul volo diretto alla capitale spagnola), il volo per l’Avana era previsto alle 02.30 ma venne ritardato un paio d’ore per problemi tecnici. La comitiva era di 80 persone, divise in 2 gruppi da 40, ciascuno con un accompagnatore. Una volta imbarcati, ci venne comunicato che il personale viaggiante era in agitazione e non vi sarebbe stato servizio a bordo. In pratica occupavamo quasi metà dell’aereo con due file di tre sedili per lato. Non c’erano schermi né pellicole da guardare, solo musica con gli auricolari. Consegnarono a ciascuno un sacchetto con un panino che aveva conosciuto tempi migliori, un arancio, un pacchetto di biscotti e una bibita. Era il primo “sciopero” dell’era post-franchista. Pochi istanti prima del decollo, il comandante ci informò che in seguito a una perturbazione sull’Atlantico avrebbe dovuto seguire una rotta più settentrionale che comportava uno scalo tecnico a Montreal. Gelo fra i passeggeri, seguito da mormorii di commento non certo entusiastici. A Montreal c’erano -10 gradi e fortunatamente non ci fecero uscire dall’aereo, il personale in pista lavorava anche in maniche di camicia...di flanella, ma sempre camicia. Dopo un volo di oltre sette ore e una sosta di quasi una, riprendemmo il viaggio verso Cuba che durò 5 ore e mezza.
In quel periodo Iberia aveva due voli settimanali all’Avana, il lunedì e il giovedì. Uno proseguiva per Managua (Nicaragua) e l’altro per San José (Costa Rica) e il giorno di Natale non operava con nessun volo in partenza dagli aeroporti spagnoli.
Arrivammo all’Avana che era già pomeriggio inoltrato ci condussero all’Hotel Nacional che era uno dei pochi riaperti al turismo internazionale, gli altri erano. Riviera, Habana Libre (ex Hilton), Capri, Deauville e Sevilla. I primi due, col Nacional, erano considerati 5 stelle di classificazione locale, gli altri due di stelle ne avevano 4. C’erano anche il Saint John, il Vedado e il Colina che di stelle ne avevano tre, ma non venivano offerti al “nuovo” turismo europeo. Bisogna dire che, all’epoca, il Nacional le sue stelle non le aveva nemmeno sulla carta...La costruzione, integra nelle strutture esterne, era estremamente deteriorata all’interno a tutti i livelli: dalle porte d’ingresso alle camere, ai serramenti, i bagni e le stesse camere dalle pareti ricoperte di tappezzeria sberciata e ciondolante, ai soffitti con le strutture interne a vista, con letti matrimoniali arredati con due lenzuola singole messe di traverso...le prese e interruttori elettrici pericolosamente volanti e le lampadine spesso mancanti o bruciate. Non fu facile placare i malumori, nonostante lo “zoccolo duro” dei compagni presenti nel gruppo cercasse di giustificare la situazione, aiutando anche il lavoro delle guide cubane e quello di noi accompagnatori.
Ricordo però un particolare significativo di quei tempi: all'epoca fumavo e la prima sera cenammo al ristorante "di lusso" dell'albergo, l'Arboleda, la stanchezza ed il fuso orario mi fecero dimenticare sul tavolo un accendino d'argento che era un regalo di mia moglie. La mattina dopo, cercandolo e non trovandolo, lo detti per perduto, ma sceso allo stesso ristorante per la colazione, un cameriere me lo consegnò con un grande sorriso...e le mance non erano nemmeno accettate. 
Passammo due notti all’Avana per poi raggiungere Santa Clara via Guamà, Cienfuegos e Trinidad. Il tempo era abbastanza buono e a Cienfuegos festeggiammo il capodanno...doppio: alle 18 si brindò per quello italiano e la sera festa in piscina per quello cubano. Nei tavoli vicini, c’erano solo cubani con invito a passare la serata per meriti lavorativi e un gruppetto di ingegneri e tecnici sovietici che stavano gettando le basi della futura centrale nucleare, mai terminata...Dopo santa Clara, tornammo verso occidente con una sosta di tre giorni a Varadero, prima di rientrare per una notte all’Avana in attesa del successivo ritorno in Italia. La fortuna non fu benigna con noi...durante il soggiorno a Varadero entrò un “frente frío” che portò vento e mare mosso. La permanenza all’hotel Internacional che con Kawama, Arenas Blancas, Villa Cuba e Oasis erano gli unici esistenti allora, non fu facile data la mancanza di qualsiasi intrattenimento diurno. C’era un solo tavolo da ping pong nel terrazzo posteriore, ma era impossibile giocare a causa del vento. Una delle alternative era di sdraiarsi nel prato antistante l’albergo, protetto dal vento e quindi senza vista mare...per raccontarsi barzellette o altre amenità che facessero trascorrere il tempo. In realtà si potevano prendere a noleggio delle biciclette made in URSS...terrificanti, pesavano moltissimo ed a avevano il freno a contropedale, la direzione del vento da nord-ovest poi favoriva una direzione e penalizzava l’opposta, in una località con un’unica strada come era allora Varadero, ricca di saliscendi non era facile, per tutti, montare in bicicletta a quelle condizioni.
Tornati all’Avana il tempo era tornato buono e l’ultima sera ci fu la chiusura in bellezza al Cabaret Tropicana. Il pomeriggio seguente partenza per Milano via Madrid, ma... giunti nello spazio aereo spagnolo, il comandante avvertì che l’aeroporto di Madrid era chiuso per ragioni di sicurezza: si segnalavano bombe in varie parti della città, aeroporto compreso. Il pilota proseguì dicendo che per ragioni di autonomia, l’unico scalo che poteva raggiungere, in alternativa era quello di Alicante...nell’estremo sud della Spagna. Sbarcati in Andalusia ci montarono su autobus con destinazione Barcellona da dove dovevamo proseguire in volo per Milano, ma...durante il cammino ci informarono che gli aeroporti di Milano erano chiusi per neve. Dopo aver viaggiato una giornata intera sui bus, arrivammo a Barcellona la sera dove ci ospitarono in albergo, sperando che il giorno successivo riaprissero gi aeroporti milanesi. Così fu infatti e nonostante la nebbia in agguato, dopo la neve, si poté viaggiare nelle ore centrali e giungere a Malpensa nel primo pomeriggio. Linate invece che era la nostra destinazione prevista, era chiuso comunque.
Non fu una prima esperienza totalmente felice, ma...il tarlo rimase.

 

Cuba e il turismo (3)

A quel primo viaggio se ne aggiunsero, poi, una media di 5 o 6 per anno come accompagnatore e altri come invitato da Cubatur per eventi tipo Convenzione di turismo che si teneva, allora, all’Habana Libre o i primi due Fotosub, organizzati dalla rivista Sesto Continente di Antonio Soccol, tutti con esperienze gratificanti che si univano ad altre, professionalmente parlando, meno entusiasmanti. Il primo Fotosub del 1981, in particolare, fu un grande successo: erano stati invitati i maggiori fotografi subacquei del mondo che alloggiarono con lo staff e gli altri invitati, all’hotel Colony dell’Isola della Gioventù, sede dell’evento. Per i turisti appassionati del genere, fu allestito un accampamento con tende. Nella fase preparatoria aiutai l’organizzazione e l’amico Manolo di Cubatur ad inviare molto materiale, grazie ai contatti che avevamo con le linee aeree. Il cubano arrivò a Milano a sorpresa nei primi giorni di novembre e si trattenne fino a metà gennaio lavorando spalla a spalla con Soccol per preparare la manifestazione che ebbe luogo in febbraio. Entrambi si diedero da fare per trovare partecipanti e sponsor, raccogliendo molto materiale utile. Si inviò una barca in alluminio, motori fuoribordo, stock di pellicole e un laboratorio ”da campo” per il trattamento delle diapositive, fra le altre cose. Oltre al lavoro con Antonio, Manolo, veniva con me a Malpensa a ogni partenza di voli per l’Avana, in particolare quelli di Interflug e Iberia che furono molto disponibili a farci inviare il carico senza aggravio di spese.
Il turismo cominciava ad aumentare e si era sulle 6000 presenze annue provenienti dall’Italia, cifre irrisorie, ma il Paese non era ancora pronto a ricevere un turismo internazionale con servizi almeno accettabili. Solo la grande simpatia e umanità della gente suppliva a certe carenze. Man mano che si allargava la cerchia dei viaggiatori a strati meno politicizzati, ci si trovava di fronte a difficoltà ”logistiche”. I turisti italiani si lamentavano perché non potevano spendere soldi!!! Chi partiva per le vacanze aveva un certo budget per souvenir da riportare in patria da distribuire ad amici e parenti, ma a Cuba, all’epoca era difficile anche quello. Gli acquisti si riducevano ai classici rum e sigari che avevano un limite di importazione in Italia: 2 bottiglie ed altrettante scatole a testa. Per il resto c’erano, praticamente solo delle brutte e dozzinali bamboline raffiguranti negre e mulatte con cesti o cappelli pieni di frutta sulla testa. Non esistevano “Cadeca” e nemmeno i CUC, circolava solo la valuta locale che veniva cambiata a 0.80 per dollaro americano nelle casse degli alberghi. Nelle riunioni di informazione che si davano assieme al cocktail di benvenuto, si avvertivano i clienti di cambiare la minor quantità possibile in quanto non avrebbero avuto grandi possibilità di shopping. Non si trovavano nemmeno le cartoline illustrate e le chiamate telefoniche costavano 18 dollari per tre minuti o frazione di tali, si consumassero completamente o meno. L’operazione “cambio” era più difficile da descrivere che da effettuare: intanto i clienti erano già preavvertiti che a Cuba bisognava venire coi dollari, non si cambiavano lire o altre valute. Alla cassa veniva consegnata una “carta de cambio” con l’importo della valuta versata e il corrispettivo di pesos ricevuti. Ad ogni acquisto si doveva presentare detto “documento” e veniva defalcata la spesa effettuata. Alla fine del soggiorno, in aeroporto e solo li, veniva fatta la somma di quanto speso e restituito il corrispettivo rimanente. Solo all’inizio degli anni ’80 vennero abilitate le principali “tiendas” di turismo a vendere con pagamento diretto in dollari, ma solo ed esclusivamente agli stranieri non residenti: ai cubani e residenti permanenti non era permesso detenere valuta estera. In quello stesso periodo si tenne il primo esperimento di vendita libera dei prodotti agricoli. Fino ad allora i contadini erano obbligati a vendere tutta la produzione allo Stato. Si stabilirono delle “quote” da raggiungere e se si superavano, l’eccedenza poteva essere venduta direttamente dai produttori in appositi mercati “agro”. L’esperienza durò un paio d’anni e quindi venne sospesa fino a molti anni dopo. Si aprirono anche alcuni “mercaditos” in moneta nazionale in cui si potevano comprare alcuni generi eccedenti o non compresi dalla “libreta”, la tessera annonaria. Non era “opulenza”, ma era una possibilità di comprare qualcosa in più da parte di gente che aveva qualche soldo e non il modo di spenderli. In genere si trattava di prodotti in conserva provenienti dall’Europa dell’Est. Con il razionamento sussidiato e i costi bassi dei servizi, gli stipendi erano più che sufficienti anche per avere dei risparmi forzati. Ricordo che in quegli anni, si trovava in vendita libera nei “puntos de leche” il burro, il “queso crema” e il latte in bottiglie di vetro da litro, per contro erano inesistenti o strettamente razionati generi come fiammiferi, sapone, dentifricio, detersivi e prodotti per la pulizia della casa e della cucina in particolare. Le creme e gel da bagno erano sconosciute.
Durante i miei frequenti viaggi ebbi modo di stringere sempre più relazioni con il personale di Cubatur, in particolare con due guide: Marcelo Gorajuria e Manuel Rico, purtroppo scomparso, che divennero poi funzionari e li ricevetti in Italia con l’Associazione Lombarda di Amicizia Italia-Cuba, di cui facevo parte come membro del Consiglio Direttivo. Eravamo una delle sedi più attive nei rapporti con Cuba e organizzavamo diverse attività di scambio culturale, ricevendo artisti e intellettuali cubani. Partecipavamo anche con loro nell’aiuto al disbrigo di formalità quando venivano per lavoro e fummo con lo stand di Cuba, fra i primi clienti della nascente BIT che si svolgeva nel Palazzo delle Sport di piazza Sei Febbraio, dove si introdusse il concetto di “musica e spettacolo” nella manifestazione che era impostata nel classico concetto di “mostra-mercato” asettica. Alle feste dell’Unità avevamo il nostro stand con vendita di dischi e cassette di musica cubana.
Arrivò quindi il 1983, e sul finire dell’estate ricevetti la visita, inaspettata, delle due ex guide di Cubatur, divenuti responsabili delle vendite, Marcelo per il turismo tradizionale e Manolo per quello specializzato. Con quest’ultimo avevo collaborato per l’organizzazione del Fotosub un paio d’anni prima. Facevano parte di una delegazione, guidata dal direttore di Cubatur, Jorge Debasa e da quello della recentemente nata compagnia aerea “Aerocaribbean” Miguel Nasser, già direttore commerciale di Cubatur. Erano venuti a Milano con l’ambizioso progetto di lanciare una catena di voli charter per l’Avana con inizio dall’ottobre successivo. La presentazione avvenne in un noto locale della Piazza del Duomo di Milano, patrocinata da Mondadori Viaggi e Italturist che formavano il “pool” incaricato della promozione e vendita del “prodotto” e pagavano il noleggio del volo “vuoto/per pieno. Per l’occasione mi venne conferito l’incarico di responsabile per il pool all’Avana con un contratto per i primi sei mesi dell’operazione. Finiva così l’epoca dei viaggi “accompagnati”, i clienti venivano assistiti alla partenza ed all’arrivo. Il volo doveva essere diretto e comunque senza cambio di aeromobile, quindi non si necessitava di spostamenti in altri aeroporti.

 

Cuba e il turismo (4)

Con la fine del 1983, si può dire che iniziava il “nuovo turismo” verso Cuba che non era ancora “di massa”, ma indubbiamente stava crescendo numericamente. L’Italia era il primo e unico Paese ad avere un volo charter, settimanale, diretto sull’Avana.
L’operazione fu condotta in pool tra Italturist e Mondadori Viaggi in quanto la prima aveva il “mercato” e l’introduzione e la seconda voleva ampliare i suoi programmi sui Caraibi per aggiungere, come avvenne, le sue consociate (Pegasus) di Londra e Vienna. Il turismo a Cuba per “spartano” che fosse aveva un potenziale da sviluppare.
A fine ottobre arrivai all’Avana per coordinare i primi arrivi, i mesi di novembre e dicembre erano stati venduti anche attraverso la rete delle agenzie dettaglianti che purtroppo, spesso, non conoscevano il "prodotto" e vendevano Cuba come fosse Santo Domingo o qualunque altro Paese caraibico. Tra le varie offerte vi era anche la possibilità di un’estensione in Messico, con ritorno all’Avana con i voli di Aerocaribean. Tutto era pronto per l’arrivo del primo volo composto da professionisti del settore turistico che venivano a conoscere Cuba e i programmi proposti, accompagnati da giornalisti che avrebbero dovuto pubblicare il resoconto di questa “nuova” meta. Purtroppo però le cose non andarono per il verso giusto: Miguel Nasser aveva “venduto” un aereo che non aveva ancora fra le mani, l’apparecchio doveva essere acquisito in Inghilterra da una società britannica. L’affare venne però a conoscenza degli americani che attraverso la casa costruttrice di Seattle, minacciarono di non fornire più nemmeno una vite di ricambio per gli altri aerei della società se questi vendevano il 707 ai cubani. Aerocaribean aveva sede a Panama, ma era il classico segreto di pulcinella. Così...mancava l’aeromobile per realizzare il programma, ma non solo, l’Aeronautica Civile messicana, negò ad Aerocaribean i diritti di atterraggio sul suo territorio ed anche i voli per il Messico erano compromessi. Di tutto ciò io ero all’oscuro e stavo dormendo tranquillamente in attesa di recarmi a Rancho Boyeros il giorno seguente per ricevere il volo inaugurale. Mi svegliò a notte fonda una telefonata di Giuseppe Olivares, titolare della Mondadori Viaggi che mi riassunse i fatti chiedendomi di raggiungere Nasser che in quel momento doveva trovarsi in ufficio perché lo richiamasse subito, dato che non riusciva a comunicarsi avendo le linee sempre occupate. I passeggeri ormai in partenza, vista l’ora, erano stati alloggiati in un albergo sul Lago Maggiore con la scusa di “problemi tecnici”. Raggiunsi Miguel negli uffici della Rampa e in effetti era con due telefoni in mano parlando in tutte le lingue che conosceva per poter reperire un velivolo che...doveva già essere partito. Gli dissi della chiamata di Olivares e che doveva richiamarlo subito, così fece e così appresi che da Milano avevano ottenuto l’affitto di un DC8 della Finnair fino a fine dicembre. Olivares era ben introdotto nel settore dell’Aviazione Civile. Il viaggio inaugurale, quindi, arrivò con 24 ore di ritardo e un giorno in meno di programma in loco. Altro problema, per la settimana successiva in cui sarebbero arrivati i primi turisti paganti, era quello di chi aveva comprato l’estensione al Messico... dovetti darmi da fare con Mexicana de Aviación per poter riproteggere i clienti con un loro volo su Mérida. Anche in questo caso, per poter riaggiustare l’operativo, i clienti persero un giorno di permanenza in territorio messicano. Fortunatamente, dopo le prime settimane in cui si erano effettuate le vendite, questa possibilità venne tolta dai cataloghi delle agenzie. Poco a poco le cose cominciarono a incamminarsi, ma le infrastrutture locali non erano ancora all’altezza di dare servizi adeguati. Si stavano muovendo i primi, incerti passettini: all’Hotel Capri venne aperto un ufficio della fiammante impresa Habanautos che aveva una “scuderia” di qualche Lada, nemmeno nuove. Non c’erano ristoranti frequentabili, fuori dagli alberghi se non La Bodeguita del Medio e il Floridita e il lussuoso Las Ruinas, al Parco Lenin, frequentato da tecnici stranieri e diplomatici residenti, El Patio, nella Piazza della Cattedrale era riservato ai cubani, ma in breve si inaugurarono dapprima La Cecilia e poi El Tocororo. Gli acquisti di souvenir continuavano ad essere circoscritti nelle “tiendas” degli alberghi ed in qualche caso, le guide più esperte e sottoposte a pressione organizzavano un “tour di acquisti” alla “Flora” che era un’altra oasi destinata ai diplomatici e tecnici stranieri che disponevano, anche per gli acquisti, dei supermercati del Nautico, di 5ta y 42 e del FOCSA, più tardi si aggiunse quello di 3ra y 70.
Nel frattempo, assieme al pool iniziale si era aggiunta Ventana Viaggi, il “braccio turistico” della Fiat e che già dalla fine degli anni ’70 operava con un segmento di mercato più “alto”, ma molto più esiguo, di Italturist. Ventana entrò nel mercato cubano sulla scia della rappresentanza che la Fiat aveva aperto, fin dai primi anni ’60 all’Avana come COGIS, poi divenuta COMEI. Questa fu la prima impresa di import-export straniera a cui venne concesso di operare a Cuba, dopo il successo rivoluzionario. Il merito fu dell’imprenditore Elio Cittone, ma questa è un’altra storia.
Ventana venne aggiunta al pool per un fatto che non riesco a spiegarmi ancora adesso: si avvicinava la fine anno (1983) e in qualità di rappresentante di Italturist venni contattato dalla nascente Empresa Cayo Largo, appartenente al gruppo Cimex per invitare il presidente e il direttore commerciale di Italturist a negoziare l’esclusiva dell’unico albergo esistente sull’isoletta dei Caraibi: il Costa Sur che veniva riaperto dopo oltre 20 anni al turismo. Per una ragione di correttezza e anche di amicizia pensarono di offrirlo a Italturist prima che a chiunque altro. Sarebbero stati lieti di ricever i due dirigenti durante la settimana natalizia per parlarne. Invece il presidente Francesco Siclari e il direttore commerciale Walter Abbondanti, dopo averci lasciato in sospeso fino all’ultimo, decisero di andare a Santo Domingo... la proposta pertanto fu girata al concorrente italiano Ventana, con grande smacco di Olivares che in questo caso non seppe vederci bene o forse era troppo impegnato per risolvere in via definitiva il problema dei voli.
Ventana iniziò a operare su Cayo Largo con voli Iberia sull’Avana e quelli locali per l’isola.
Quando si resero conto dell’affare che avevano perso, le agenzie del pool negoziarono 20 posti sul charter in cambio di un piccolo allotment al Cayo...ma non era la stessa cosa.
Arrivò quindi la primavera e la scadenza dei miei sei mesi. L’esperienza effettuata mi aveva amareggiato. L’appoggio economico e logistico oltre che morale era stato veramente nullo o scarso da parte del pool, quindi decisi di tornare in Italia nonostante Ventana, ove si era trasferito Alfredo Bassani, mi avesse offerto di restare come loro rappresentante, dal momento che non avevano personale fisso in loco e più che altro a loro serviva l’assistenza a Varadero dal momento che per i tours e al Cayo si affidavano al resto dell’organizzazione, ma per il soggiorno balneare volevano avere un’assistenza diretta. Non  accettai e presentai loro un italiano che collaborava con l’Accademia delle Scienze di Cuba, ma non era soddisfatto del suo status, cercava qualcosa di meglio e di più “definitivo”. Era una persona di grande esperienza avendo frequentato la scuola alberghiera della CIGA ed avendo tenuto a battesimo ed amministrato per i primi anni, la località di Porto Rotondo.
Col nuovo anno e la fine dell’operativo di Finnair, non si poté risolvere in modo definitivo il problema dell’aeromobile che coprisse il volo charter. Intervenne per i primi due mesi Cubana de Aviación, poi fu noleggiato un volo di Tarom che viaggiava vuoto nella tratta Bucarest /Milano, anche questa fu una situazione transitoria, intervennero poi altre compagnie nel corso dei mesi e degli anni. Egypt Air, Iceland Air, AOL e Aireurope (da non confondere con l'iberica Air Europa) per quel che mi ricordo, furono sempre intercalati con periodi di operatività di Cubana che era la “proprietaria” della sigla di volo anche se effettuato da altre aeromobili. I rapporti tra Italturist e Viaggi Mondadori si deteriorarono e si formarono due voli separati. Questi furono i primi mesi e i primissimi anni dell’operazione “turismo di massa” a Cuba, poi le cose migliorarono un poco fino a raggiungere lo standard di oggi che è praticamente in linea con quasi tutti destini turistici, specie dei Paesi in via di sviluppo

 

 

Cuba e il turismo (5)

Tornai a Milano e mi fu difficile riadattarmi, dopo pochi mesi ripartii per l’Avana dove avrei dovuto trovare occupazione nel seno di Cubatur, ma ostacoli di carattere burocratico e/o altro non lo permisero. I miei amici e la compagna che avevo allora, mi furono comunque vicini per aiutarmi anche a superare l’ostacolo dell’inattività. Il lavoro in proprio era ancora impensabile, tutto era saldamente in mano allo Stato. Dopo qualche tempo venni contattato da Dana Tonetti, rappresentante di Olivares già separato da Italturist, perché collaborassi con lei nell’assistenza ai clienti italiani dal momento che lei doveva occuparsi del sopraggiunto charter da Vienna e dei clienti inglesi. Accettai, un poco forzatamente, ma non avevo alternative. La convivenza non fu facile e dopo qualche mese Vando Martinelli che aveva lasciato il lavoro di ufficio e mi aveva dato il cambio dopo i sei mesi, mi chiese di tornare a lavorare “in famiglia”. Tra i due mali scelsi il minore e lasciai Mondadori Viaggi.
Con Vando, comunque, avevamo una base “culturale”, ideologica e lavorativa abbastanza comune e assieme lavorammo abbastanza bene, nonostante le difficoltà obiettive rappresentate dalla precarietà dei voli che a volte accumulavano ritardi anche superiori alle 24 ore. Intanto l’interesse sulla “destinazione Cuba” stava crescendo fra gli operatori italiani e una società di Treviso, la Day by Day, organizzò un nuovo charter in collaborazione con la neonata Aireurope di lupo Rattazzi e soci con la controparte Cubanacan, agenzia ricettiva appena sorta a Cuba per opera di Abraham Maciques, direttore di Cubalse, il Palazzo delle Convenzioni, Pabexpo e quant’altro. Un giorno mi trovavo all’aeroporto in attesa del “nostro” volo, eternamente in ritardo, e vi trovai i titolari della Day by Day che stavano aspettando il “loro” volo. Conversando, mi dissero che stavano operando con un Boeing 767 nuovo di zecca che aveva autonomia per il volo diretto, ma che per ragioni operative faceva scalo a Bangor dove c’era una sede della compagnia aerea. Rimasi un po’ stupito e gli chiesi se sapessero che dagli scali statunitensi non potevano partire voli commerciali per Cuba. Loro rimasero ancora più stupiti di me, ma non mi sembrava certo un buon inizio...in effetti poi quel volo ebbe alcune ore di ritardo perché non aveva il permesso di decollare con destinazione Avana. Risolsero il problema con uno strattagemma: l’aereo sarebbe partito per la vicina Halifax, in Canada, poi...non era più problema degli USA...e così arrivò anche questa nuova fetta di turismo italiano, proveniente in prevalenza dal nordest. La rappresentanza della Day by Day a Cuba venne data a Manolo Rico che si avvaleva della collaborazione di Marcelo Gorajuria. I due avevano lasciato Cubatur per esplorare nuovi orizzonti.
Su Italturist però gravavano nuvole, i pagamenti per i servizi a terra non arrivavano puntualmente, si erano accumulati debiti per centinaia di migliaia di dollari e Cubatur decise di sospendere i servizi all’antico partner. Era veramente la fine di una epoca.
La gestione dei charter venne tolta agli operatori turistici e Cubana si assunse il compito aprendo anche un ufficio a Milano, in via Paolo da Cannobio, più tardi si “fuse” con Havanatur che aprì a sua volta la rappresentanza in via Melchiorre Gioia e da li si vendevano gli spazi, dapprima alle agenzie e poi anche al pubblico. Vando ed io ci trovammo senza occupazione e Cubatur non poteva più rinnovarci la residenza. Il caso volle che incontrassi un mio giornalista che scriveva per “Sol de Cuba” la rivista turistica édita da Publicitur che mi chiese perché non andavo a lavorare in quell’impresa in qualità di fotografo, dato che ne stavano cercando uno e che l’impresa era autorizzata ad assumere personale straniero. Filiberto, così si chiamava, sapeva che mi occupavo anche di fotografia e che avevo fornito molto materiale a Cubatur. Mi portò dal vice direttore Soto e mi presentò come “eccellente fotografo”. Non era proprio così, ma mi arrangiavo e sopratutto avevo dimestichezza con la camera oscura e il trattamento del “colore” che era uno dei punti deboli dell’impresa. Fui assunto con un contratto provvisorio che dopo un anno si trasformò in definitivo. Intanto, Publicitur aveva creato anche una società mista, la Publinter, con un fotografo italiano, Gianni Costantino, venuto qualche tempo prima per fare i cataloghi di Ventana. Le due attività erano diverse, una era la “pubblicitaria” dell’INTUR e l’altra produceva cartoline illustrate da mettere in vendita (finalmente) per i turisti che venivano stampate a Torino dalle Arti Grafiche Abataneo. Vando Martinelli venne accreditato come corrispondente aggiunto da Alessandra Riccio dell’Unità.
Durante la mia permanenza a Publicitur ebbi, marginalmente qualche collaborazione con piccole agenzie italiane, che non volevano essere assistite dai “grandi” tour operator, ma volevano un servizio personalizzato, per quali prestavo assistenza ai clienti. Non disponendo di ufficio né di mezzi adeguati, mi appoggiai a chi presentai, qualche anno prima a Ventana con la quale era cresciuto in termini di volume di lavoro “assumendo” ex guide di Cubatur per l’assistenza ai turisti. Dico assumendo tra virgolette, perché in realta erano in prestito, retribuito, non esistendo ancora la possibilità di fare contratti privati, nemmeno nel campo del turismo, ma si doveva sempre dipendere da aziende statali.
Sergio Terni, così si chiama, ebbe anche un’altro “record” a favore dell’Italia: fu il primo operatore turistico ad aprire un’agenzia privata, seppure nei primi tempi accreditata come “appendice” di Ventana, presso gli organismi competenti, ma in secondo tempo fu proprio autonoma. La TES, così si chiamava giocando con l’acronimo su TErni Sergio e Turismo ESpecializado, rimase attiva per oltre un decennio.
Publicitur mi assorbiva molto nei momenti di necessità, ma mi lasciava anche molto spazio e tempo libero quando non c’erano urgenze o lavori articolari da svolgere, pertanto muovendomi comunque nel campo del turismo italiano ebbi modo di fare molte conoscenze e di allacciare relazioni e mi occupai un po’ di tutto, fino ad essere accreditato tra la “stampa estera”. Corrisposi con il “Corriere della Sera” in occasione della sciagura aerea del 1989, “La gazzetta dello Sport”, per i giochi Panamericani del ’91, “Oggi”, per la famosa storia inventata da Sandra Milo con il suo matrimonio fasullo con un “colonnello” che si da il caso fosse anche mio amico. Per “Il Manifesto” collaborai in occasione di un paio di Festival del Cinema, per la stampa feci un servizio sulla crisi dei "balseros" dl '94. Ed ebbi anche “escursioni” in altri campi, ma anche queste sono altre storie...
Inesorabilmente il tempo cammina e gli avvenimenti cambiano. Arrivò il “periodo especial en tiempo de paz”, le difficoltà del momento, unite alla avanzata età dei miei genitori mi suggerirono, nel 1994, di rientrare in Italia e ciò mi permise di poter arrivare ad una pensione, almeno un po’ migliore della “sociale”. A Cuba il turismo ha continuato a crescere in maniera sempre più accelerata, gli investimenti con società miste e l’apertura di nuovi mercati ha fatto nascere molte nuove realtà nel campo delle forniture di servizi, infrastrutture e strutture alberghiere, nuove o restaurate.
Questa è la storia, molto condensata, di come ho visto nascere il turismo a Cuba e mi onoro di essere stato uno dei “fondatori” delle sue basi per quello che riguarda, almeno, l’Italia.

 

Cuba e il turismo (appendice)

Il “periodo especial en tiempo de paz”, fu abbastanza duro, specialmente per quanto concerne l’energia.. Gli “apagones” erano frequenti, tanto che dovettero essere programmati per far si che la gente si organizzasse, specialmente per la conservazione degli alimenti. La notte era difficile dormire, senza nemmeno la possibilità di un ventilatore. Questi erano i punti più evidenti del problema perché toccavano direttamente la popolazione, ma dietro di loro c’era l’immenso problema creato a un’economia che fino ad allora era sussidiata e assistita e d’improvviso si trovava a risolvere i problemi autonomamente e senza, in pratica fonti di produzione redditizie, dove il sistema tributario era sconosciuto e con un carico sociale enorme.
Il carburante era limitatissimo: venne abolita la “quota” mensile che veniva assegnata alle auto private in base alla cilindrata e anche i veicoli statali erano soggetti a forti restrizioni.
I voli interni ridotti al minimo, i veicoli in circolazione venivano fermati da appositi ispettori, soprannominati “amarillos” per il colore delle loro uniformi e dovevano servire per trasportare chiunque fosse sul loro percorso. Il parco circolante dei bus era allo stremo e non c’era possibilità di sostituirli se non con sporadiche donazioni di Enti stranieri “amici” che inviavano gratuitamente i loro veicoli dismessi, ma ancora funzionanti. Si inventarono i “camellos” applicando una lunga cabina per i passeggeri a rimorchi di autoarticolati. Ancora una volta fu l’Italia ad ottenere il primo posto e addirittura prima del “periodo especial”: il Comune di Milano, nel 1984, donò 30 autobus dell’ATM. La giunta era quella del sindaco Tognoli e uno dei suoi esponenti di maggior spicco, di cui non ritengo rivelare il nome, era venuto a Cuba nel 1982 con un gruppo accompagnato da me e in partenza quel tragico 2 di agosto. Eravamo a Linate in attesa di raggiungere Praga, quando ci venne all’orecchio che era accaduto qualcosa di grave alla stazione di Bologna, ma niente di più. Il nostro gruppo venne trettenuto per più di un’ora oltre il previsto, dal momento che quell’uomo politico aveva la sventura di essere omonimo di un terrorista “rosso” ricercato. Come se questi avesse cercato di espatriare con la sua vera identità...
Comunque questo periodo ebbe anche un risvolto positivo, segnò l’inizio di un cambio, lento, ma costante di mentalità. La mossa fondamentale fu quella di depenalizzare il possesso di valuta per i cittadini cubani e residenti permanenti con conseguente ampliazione della rete di vendita di prodotti acquistabili in dollari, una piccola spinta alla circolazione del denaro. Poi si introdusse una prima disposizione per poter esercitare alcuni lavori per conto proprio, si riaprirono i mercati di prodotti delle campagne, si autorizzarono gli orti per l’autoconsumo in spazi pubblici e/o collettivi. Si cominciò a vedere il turismo non più come un “male necessario”, ma come fonte di ingresso per il Paese e si iniziò la fase di incremento delle strutture alberghiere e gastronomiche. Qualche anno dopo si introdusse il Peso Cubano Convertibile. Di questa fantomatica moneta ebbi l’occasione di sentirne parlare personalmente e in notevole anteprima, da Fidel Castro in un ricevimento alla Residenza del nostro Ambasciatore, mentre ne parlava con la presidentessa di Alpitur che ara in visita con altri operatori economici italiani accompagnati dall’allora Ministro per il Commercio Estero, Susanna Agnelli.
Oggi il paese dispone di una vasta rete di alberghi e di case private autorizzate ad affittare e mi viene da sorridere quando penso ai viaggi dei “pionieri” come quello che feci per il capodanno ‘79/80. Arrivammo all’Avana dopo un volo, Interflug, interminabile via Berlino/Shannon/Gander. La pista, di Boyeros era attraversata dal binario unico della linea ferroviaria Avana/Pinar del Río...Il contingente era di 160 persone divise in 4 gruppi con altrettanti accompagnatori, all’aeroporto c’erano le 4 guide di Cubatur di cui nessuna parlava in italiano a me toccò una che parlava perfettamente il russo...I bus non erano arrivati e ci toccò aspettare un buona mezz’ora sul marciapiedi antistante il terminal 1 che era l’unico e non aveva ancora il numero...l’aerostazione era presa d’assalto. All’esterno da centinaia di persone che attendevano i parenti della “comunità”, provenienti da Miami, dopo anni di assoluta mancanza di collegamenti. Il presidente Jimmy Carter aveva autorizzato, in deroga all’embargo dei voli charter, non a carattere commerciale, ma umanitario per permettere alle famiglie cubane di riabbracciarsi. Il caos era indescrivibile.
Quando arrivarono i bus fummo trasportati al hotel Nacional che era nelle stesse condizioni dell’anno prima...o peggio. In seguito alle molte lamentele e vista l’ora tarda, chiedemmo ai clienti di pazientare fino al mattino successivo e alla prevista riunione di informazione si sarebbe cercata un’alternativa con Cubatur.
Quando ci riunimmo nel salone dell’Arboleda, dopo la colazione venne servito il classico cocktail di benvenuto e un funzionari di Cubatur illustrò come si sarebbe svolto il programma che prevedeva il tour fino a Santiago e il soggiorno balneare a Guardalavaca. Innanzitutto dovettero separare i 4 gruppi alla metà perche, sopratutto nelle città dell’interno non ci sarebbe stata capacità alberghiera per ospitare tutti contemporaneamente, pertanto due bus con 80 persone partirono con un giorno di anticipo, con rientro pure antipato all’Avana. Gli altri, che si fermavano all’Avana, me compreso, sarebbero stati trasferiti a Villa Bacuranao, un complesso di bungalows all’uscita dell’Avana. Nell’insieme il posto era un po’ meglio del Nacional, ma...alcuni bungalows disponevano di bagni comuni e non privati...e inoltre la località era veramente troppo appartata e non permetteva di uscire a passeggiare nei momenti in cui ci si fermava in albergo e la spiaggetta non era troppo frequentabile perchè durante il giorno si svolgevano le visite previste. Dopo una notte, si decise di tornare al Nacional... non vi era alternativa. Arrivò il giorno della partenza per il tour, ai nostri compagni di viaggio vennero assegnati, come previsto, due bus “Pegaso” con radio, microfono, aria condizionata, bar e servizio. Per noi arrivarono due British Leyland di non so che anno, senza nessuna dotazione e in condizioni anche abbastanza precarie. La mia compagna di lavoro era la responsabile di Unità Vacanze alla quale dettero come “premio” la possibilità di accompagnare un viaggio a Cuba, confidando nell’aiuto degli altri tre colleghi, dal momento che non cie ra mai stata e non parlava una parola di spagnolo, la sua guida cubana però...parlava perfettamente in ceco.
Altra ondate di, giustificate, proteste senza poter risolvere la situazione, ci dissero che durante il tour, se si fosse liberato qualche “Pegaso” ci avrebbero sostituito i mezzi. Partimmo per Guamà/Cienfuegos e dovetti sgolarmi sul veicolo rumorosissimo per tradurre quallo che diceva la guida e...dovetti anche scendere e ripetere il racconto sull’altro bus...Giunti a Guamà, dopo la visita all’allevamento dei coccodrilli, montammo sui battelli per la visita dell’Aldea Taina all’interno della palude. Una gita, finalmente piacevole e rilassante in un paesaggio incantevole. Dopo la visita a piedi sulle passarelle del villaggio arrivammo all’imbarcadero e...non c’erano i battelli. Chieste informazioni ai lavorator del posto ci dissero che ormai le ultime “corse” erano partite. Ci attivammo per comunicare via radio dal villaggio alla base della ”Boca” e solo dopo molti sforzi riuscimmo a sapere che avevano rintracciato i capitani delle barche e che sarebbero venuti a prenderci, naturalmente il tempo era passato e potemmo ritornare ai bus solo con l’scurità sopraggiunta. Proseguimmo il viaggio per Cienfuegos dove arrivammo a notte inoltrata. Al di la del mio “pendolarismo” ta i due bus per le traduzioni e il disagio per i passeggeri, il tour proseguì normalmente: Trinidad, Santa Clara e Camagüey...ma giunti in questa località arrivò la notizia che non era possibile alloggiare a Santiago perchè non c’erano posti disponibili e il gruppo si sarebe dovuto fermare a Manzanillo (provincia Granma) a 177 km. da Santiago che si sarebbe raggiunta con un’escursione di un giorno e rientro a Manzanillo per il successivo pernottamento e trasferimento poi Guardalavaca per il soggiorno balneare con rientro all’Avana in aereo, da Holguin, come previsto.
Gingemmo a Manzanillo dove il personale locale non seppe cosa fare per farci sentire a nostro agio e “digerire” l’imprevisto, se non altro l’albergo era di recenta costruzione ed aveva una vasta area di giardino con piscina. Il giorno dopo, levataccia per andare a visitare Santiago. Durante il percorso, a Raisa la mia guida, venne un forte attacco di asma e fu necessario fare una sosta all’ospedale di Palma Soriano che fortunatamente era sulla strada. Un ulteriore imprevisto che si risolse per il meglio, per Raisa, ma che causò un discreto ritardo sulla tabella di marcia. Inutile dire che la visita della città fu un “mordi e fuggi” che lasciò l’amaro in bocca a molti che avevano scelto questo programma propio per conoscere Santiago.
Ho raccontato questo episodio per sottolineare come era facile avere disservizi in quel periodo, tanto che al nostro rientro in Italia ad ogni viaggio, i responsabili di Italturist ancor prima di salutare ci scrutavano in affacia e chiedevano: “Com’è andata”?
Ma queste sono vicende del secolo scorso, oggi Cuba non presenta difficoltà superiori a quelle di qualunque altra meta turistica.