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Cubareale - Niki

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Penitenza

05.04.2012 09:46

 

4/4/2012

YOANI SANCHEZ

Dopo la tormenta può arrivare un’altra tormenta, l’uragano, il tornado. Fino a pochi giorni fa credevamo che il castigo si sarebbe concentrato tra il lunedì e il mercoledì della settimana scorsa, che sarebbe durato solo per il tempo della permanenza di Benedetto XVI in terra cubana. Sono state giornate intense, vissute tra preghiere e grida, con piazze piene e celle affollate. I telefoni mobili, invece di offrirci la possibilità di comunicare si sono trasformati in scatolette silenziose, in apparecchi inutili. Solo quando l’aereo del Papa è decollato, sono cominciate le scarcerazioni e sono stati riattivati alcuni dei cellulari “fuori servizio”. Sembrava che nelle giornate di sabato e domenica la stanchezza delle forze repressive ci avrebbe dato respiro.

Tuttavia, ogni padre autoritario sa che dopo la punizione il figlio opta o per una totale sottomissione o per una maggior disubbidienza. In alcune località dell’Oriente cubano si sono succedute proteste di strada di fronte all’arresto di attivisti e si è scatenata la conseguente ondata di repressione poliziesca. Ieri, un gruppo di ufficiali e di membri della Sicurezza di Stato hanno fatto irruzione in casa dell’oppositore José Daniel Ferrer portandosi via lui, sua moglie e altri colleghi. Hanno sequestrato tutti gli oggetti che sembravano possedere un potere destabilizzante: libri, periodici, foto, computer. Nessuno dei testimoni ricorda di aver visto un ordine di perquisizione o di confisca, meno che mai un documento con i motivi dell’arresto. Quando il riso nei ginocchi, le frustate sulle spalle e la reclusione in una stanza buia non bastano più, il patriarca dispotico sa che arrivato il momento di usare il pugno di ferro. Confida che aumentare la gravità della punizione servirà a far ragionare il figlio non conforme, mentre in realtà ottiene solo di far crescere la sua ribellione. Persino chi non ha mai osato contraddire il governo, sente che queste punizioni - ogni volta più frequenti – spingono a simpatizzare con l’aggredito e non con l’aggressore. Assistere alla repressione accelera il processo di complicità tra i cittadini di fronte al totalitarismo. Ogni colpo inferto a una persona può destare un altro individuo che finge di dormire placidamente accanto a lui. Insieme potranno avere l’opportunità di trovare una via di fuga dalla reclusione oppure di cercare il momento giusto per cacciare di casa il papà.

Traduzione di Gordiano Lupi