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Fabio; 15 anni senza giustizia

07.09.2012 08:58

 

                                 

di Fabrizio Casari

Il quattro settembre del 1997, quindici anni fa, un giovane imprenditore italiano, Fabio Di Celmo, 32 anni, moriva a L’Avana. Ucciso da una bomba, piazzata nella hall dell’Hotel Copacabana da un mercenario salvadoreno, Raul Ernesto Cruz Leon. L’attentatore era stato reclutato per compiere attentati a Cuba (dietro corrispettivo in denaro) da Rafael Chavez Abarca, altro terrorista successivamente arrestato in Venezuela. L’organizzazione della catena di attentati era di Luis Posada Carriles, arcinoto terrorista internazionale affiliato alla Cia e figura preminente quanto rivoltante della "Fondazione nazionale cubano-americana" con sede a Miami, Florida.

Quello al Copacabana non fu che l’ultimo di una serie di attentati negli alberghi che scossero la capitale cubana in quei giorni. Posada Carriles agiva, appunto, agli ordini della FNCA, che aveva incaricato il suo assassino di sempre di organizzare, finanziare ed istruire il killer. Lo scopo era terrorizzare gli stranieri che visitavano l’isola, cercare di porre Cuba nell’elenco dei paesi a rischio per il turismo internazionale per indebolire l’economia e l’immagine dell’isola.

Le indagini delle forze di sicurezza cubane consentirono di acciuffare rapidamente il killer, che confessò senza troppo esitare di essere l’autore dei diversi attentati e fornì una serie d’informazioni relative al piano stabilito a Miami e alle istruzioni dategli da Posada Carriles.

Cuba, quindi, additò immediatamente il terrorista e i suoi soci come responsabili dell’ennesimo assassinio e della catena di attentati, senza che questo però provocasse il minimo sconcerto da parte del governo statunitense, che di Posada è il protettore dagli anni ’60, in virtù dell’antica milizia nella CIA che lo ha portato ad insanguinare ogni luogo delle Americhe su ordine di Langley. Alle accuse cubane, anzi, alcuni degli esponenti dell’ala fascistoide dell’establishment della Florida risposero che queste erano propaganda politica.

Ma così non era: Cuba sapeva quello che diceva perché sapeva quello che c’era dietro nei minimi particolari. A confermarlo direttamente fu poi una fonte certa: lo stesso Posada Carriles, che mai pago della sua vanità senile, in una intervista rilasciata nel Giugno 1998 alla giornalista statunitense Anne Louise Bardach, del New York Times, affermò senza battere ciglio di essere autore e mandante degli attentati dinamitardi. Quando la giornalista gli chiese se riusciva a dormire sapendo di aver procurato la morte di un innocente, rispose: “Dormo tranquillo, giacché la morte dell'italiano é stato frutto della casualità: si trovava solo nel posto sbagliato nel momento sbagliato”.

Il quotidiano newyorkese pubblicò l’intervista e il video annesso il 12 e 13 Giugno 1998, ma ciò non destò - né al momento desta - nessun tipo d’interesse per le autorità statunitensi, sul cui suolo Posada vive e festeggia allegramente con i suoi compari le sue gesta criminali. Pur se definito il “bin Ladin delle Americhe”, il bombarolo presenta libri, introduce riunioni, rilascia interviste e partecipa ai cortei della gusaneria cubano-americana stanziata in Florida. Lo rese tristemente noto al mondo l’aver organizzato - insieme a Orlando Bosh - l’attentato dinamitardo al volo della "Cubana de Aviaciòn", esploso sui cieli delle Barbados nel 1974 che lasciò un saldo di 73 morti. Per questo attentato e molti altri ancora Cuba e Venezuela hanno reiterato con regolarità la richiesta di estradizione per l’assassino, ma dagli Stati Uniti è sempre stata rifiutata.

Perché? Perché la guerra al terrore lanciata dal governo Usa all’indomani dell’11 Settembre è stata infatti lanciata in ogni dove del pianeta, ma non in Florida, rifugio dorato di terroristi al soldo degli Usa, faccendieri ed intrallazzatori, ex-dittatori ed ex-torturatori che appestano Miami, trovando rifugio nella lobby cubano-americana e nel partito repubblicano (famiglia Bush in testa) che gli offre copertura politica in cambio di voti.

Ma non è solo per ostilità verso L’Avana o Caracas che le richieste di estradizione per Posada Carriles non hanno mai avuto seguito. Come ha giustamente fatto notare il suo avvocato, agli Stati Uniti non conviene consegnare Posada alla giustizia internazionale, dal momento che il vecchio terrorista ha più volte subdolamente ricordato come disponga di una formidabile memoria e come una sua uscita dagli USA potrebbe generare in automatico confessioni che risulterebbero a dir poco imbarazzanti per Washington.

Non sono minacce a vuoto se fatte da un uomo coinvolto negli episodi più inquietanti della storia sinistra degli USA. Dall’assassinio di John F. Kennedy alla guerra sporca in Nicaragua, dal sostegno alle dittature militari latinoamericane fino alla eliminazione dei diplomatici dei paesi nemici di Washington, dagli attentati dinamitardi alla falsificazione dei risultati elettorali in Florida (Al Gore ne sa qualcosa) la carriera criminale di Posada Carriles è stata tutta percorsa nel quadro delle Covert Action della CIA. E anche quello di cui non ha responsabilità diretta è comunque da lui conosciuto.

E’ ragionevole pensare che, vistosi abbandonato, cercherebbe di negoziare la sua sopravvivenza fornendo squarci di verità sulle attività di Langley e sul ruolo - davvero notevole - che i fuggitivi anticastristi hanno svolto durante gli ultimi 40-50 anni. Per questo i professori dell’antiterrorismo immaginario se lo tengono in casa, coccolato e protetto, al riparo della giustizia internazionale. Per lo stesso motivo tengono prigionieri i cinque cubani che scoprirono la rete terroristica a Miami e sventarono decine di attentati contro Cuba: se vuoi che i terroristi siano liberi, bisogna che gli antiterroristi siano prigionieri.

E se Cuba e Vanezuela hanno dovuto registrare il rifiuto statunitense a consegnare Posada Carriles, per l’Italia, silente mummia, non c’è stato nemmeno bisogno di rispondere da parte di Washington. Mai, infatti, dal 1998 ad oggi, nessun governo italiano ha ritenuto di dover formulare una richiesta di estradizione per Posada Carriles per aver ucciso un cittadino italiano. Perché non è mai stata richiesta l’estradizione, nonostante l'esistenza di un trattato bilaterale tra i due paesi che renderebbe ovvia sia la richiesta che la successiva autorizzazione?

Nemmeno si può obiettare che la richiesta avrebbe valore solo simbolico, come sarebbe nel caso Posada stesse scontando la condanna in un carcere statunitense. Posada Carriles, infatti, non solo non ha mai fatto nemmeno un giorno di prigione, ma non è mai nemmeno stato indagato o anche solo interrogato da un magistrato per l’assassinio di Fabio Di Celmo, nonostante sia reo-confesso del crimine e ci sia l’autore materiale che lo accusa e che è pronto a testimoniare. A Miami lo si lascia prosperare in virtù dei meriti acquisiti con la CIA nella “lotta al comunismo”, a Roma si è scelto di tacere, chiudere gli occhi e le orecchie, per ribadire una volta di più il valore della servitù.

Giustino Di Celmo, 92 anni, padre di Fabio, vive da anni a L’Avana, nel ricordo di un figlio che adorava. E’ persona straordinaria Giustino: il dolore e l’amarezza non ne scalfiscono la tenacia. Non molla, continua a battersi perché qualcuno trovi il coraggio di sfidare il muro di silenzio e d’indifferenza che circonda la magistratura italiana e quella statunitense. In attesa che l'una o l'altra decidano di accusare Posada Carriles, ritenendolo una belva che, proprio perché ancora ancora libero, si trova – lui sì - nel posto sbagliato al momento sbagliato.