Angelo D’Addesio - 13 luglio 2012
Da mito giovanile e rivoluzionario a disturbatore della pace olimpica, Ernesto Che Guevara e le sue magliette e bandiere che sono un merchandising mondiale oltre che uno status symbol, sono state vietate dal Comitato Organizzatore dei Giochi Olimpici che si terranno fra meno di due settimane a Londra.
Tutte le magliette che rappresentano il leader sono finite nella lista degli oggetti indesiderati nei dintorni ed all’interno degli impianti sportivi, insieme a telecamere a lungo raggio, bottiglie d’acqua di grandi dimensioni, vuvuzelas, bandiere grandi e palloni da football ed il divieto sarà verificato da più di 17mila militari e personale di Scotland Yard con il potere di allontanare, multare e perfino arrestare chi contravviene alle prescrizioni.
Stupore e dispiacere fra gli appassionati che si preparano a volare a Londra per la manifestazione (ma sicuramente anche fra i venditori di souvenir e magliette), molti dei quali hanno protestato proprio per il divieto delle magliette del Che, considerate un pericolo per la sicurezza ed un motivo di istigazione a scontri e proteste ed anche se tutto finirà il 12 agosto, i più maliziosi, nel denunciare l’individuazione precisa del personaggio, hanno pensato ad un ennesimo strumento di ritorsione dei britannici contro l’Argentina per l’ennesimo conflitto diplomatico sulle Isole Falklands/Malvinas.
D’altronde la sfida delle divise è stata lanciata proprio dalla delegazione degli atleti argentini che durante la cerimonia di apertura potrebbero sfilare con il simbolo delle Malvinas e con la scritta «le isole sono argentine», nonostante le smentite del ministero argentino e le preghiere del CIO di non politicizzare l’evento mondiale e già sulla tv pubblica del paese è stato mandato in onda uno spot che mostra un’atleta delle Malvinas che si allena duramente per le Olimpiadi e che si chiude con lo slogan «Per partecipare ai giochi in terra britannica, ci alleniamo in terra argentina».
Non è la prima volta però che il Che finisce vittima delle grandi proibizioni durante le manifestazioni sportive e politiche. Accadde già a Pechino nel 2008, ma il suo nome venne affiancato da numerosi altri leader discussi del passato, mentre in Polonia il premier Tusk fu più furbo e fece approvare nel 2011 una legge con il medesimo divieto, forse in prospettiva dell’Europeo ospitato quest’anno.
Addio alla rivoluzione, ma anche ad un buon soggetto da marketing, già ampiamente usato dalla Pepsi Cola (che di Olimpiadi se ne intende, ad Atlanta le finanziò alla grande) e dalla Mercedes Benz, salvo poi chiedere scusa per aver usato un assassino come testimonial. Ma questo i britannici non lo hanno detto, altrimenti la guerra delle magliette sarebbe diventata qualcos’altro.