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Cubareale - Niki

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Ivana e Daniele - Diario di Viaggio

Ivana e Daniele - Diario di Viaggio

CUBA 28 NOVEMBRE / 9 DICEMBRE 2013-12-26

E’ un compito arduo, lo ammetto: ha ragione Niki. Ho conosciuto Niki via internet: per caso sono capitata su un suo scambio di mail con un viaggiatore, ho preso il suo indirizzo, ho scritto. Volevo che l’esperienza a Cuba fosse non da classico turista, e Niki mi è sembrato un aiuto valido per realizzare questo pensiero. Non ho sbagliato: attraverso lui abbiamo preso contatti con René e Lizzy, che a loro volta ci hanno veicolato verso ulteriori contatti, di ogni tipo. Abbiamo visto, compatibilmente con i giorni a disposizione, una Cuba estranea ai circuiti predigeriti che di solito si infliggono ai turisti organizzati.

All’arrivo all’aeroporto José Marti, il pomeriggio del 28 novembre, comincia un po’ di inquietudine: la confusione, la disorganizzazione, l’arretratezza dei sistemi di sbarco e consegna bagagli ci riportano immediatamente in un mondo che credevamo finito, e che ci ricorda molto i Paesi dell’Est Europa, prima e subito dopo la caduta del blocco sovietico. Dopo quasi due ore di attesa dei bagagli, all’uscita ci conforta moltissimo vedere due volti simpatici, e poco più sotto un cartello con i nostri nomi: sono Lizzy e René, con l’autista Luis e una macchina d’epoca. Di qui comincia un percorso di attenzione e dedizione che ci commuoverà e stupirà insieme, e del quale saremo molto grati.

Purtroppo il tempo è canaglia: pioverà in modo torrenziale per oltre due giorni. La nostra escursione in Havana è fortemente penalizzata da questa situazione, e per noi che ci aspettavamo soltanto sole e caldo tropicale, è molto stancante e deludente. Il primo giorno, puntualissimi, arrivano René e Lizzy, che ci avevano condotto a cena la sera prima e sono pronti a farci trascorrere una bella giornata in loro compagnia. Purtroppo non riusciamo a fare molto di più che stare l’intera mattinata sotto il portico dell’Hotel Inglaterra, dove il mojito è sicuramente molto buono e l’atmosfera rallegrata dal susseguirsi delle orchestrine, ma la pioggia incessante è avvilente. La giornata trascorre così, tra fughe nei pochi momenti di tregua e riparo sotto portici di ogni genere. Per fortuna abbiamo comode ciabatte e infradito in gomma, tanto il clima è comunque tiepido.

Il secondo giorno è anche peggio: la temperatura scende di qualche grado. Il pranzo lo facciamo presso uno dei posti che René e Lizzy conoscono bene, si spende poco e si mangia bene, ma un malore passeggero affligge uno di noi due, con conseguenze molto negative: rientriamo in hotel con difficoltà, attendendo per quarti d’ora un taxi disponibile, e ci mettiamo a letto con la sensazione di aver sbagliato totalmente il nostro obbiettivo-vacanza. Ci è già passata la voglia di spendere altri 10 giorni qui. Abbiamo già in mano il telefono della compagnia aerea, e siamo pronti a tornare a casa, pieni di delusione.

Il nostro itinerario prevede due giorni a Cayo Levisa, meta un po’ complicata da raggiungere che ci ha dato da pensare non poco, prima della partenza: ma l’orizzonte a nord-ovest è nero, le nuvole basse, le crestine bianche in lontananza ci fanno pensare a un mare minaccioso e a Cayo Levisa non c’è altro che mare e spiaggia: cosa faremo due giorni lì? Non appena realizziamo questo, unitamente alle previsioni per niente confortanti, contattiamo il tour operator per annullare la nostra prenotazione al cayo. Non senza difficoltà (nel frattempo è sabato e gli uffici sono chiusi) riusciamo comunque a modificare i nostri programmi. 

Ci fermeremo ancora due giorni in Havana.

Dopo il doveroso riposo, il giorno dopo ci sentiamo meglio: c’è un accenno di sole, e già questo conforta. Oggi, dall’hotel in centro che avevamo prenotato, ci trasferiremo in una casa particular conosciuta dai nostri angeli custodi. Una volta sistemati nella casa di Prisca e Raùl, usciamo per vedere la città, approfittando del miglioramento meteorologico. E qui, finalmente, incomincia la nostra vera vacanza.

Come descrivere l’Havana? E’ una festa di musica, di colori, di spicchi di città luminosi, curati, restaurati, bellissimi; e nella strada accanto buche simili a voragini, case diroccate, magazzini lugubri e fatiscenti. Una parte lussureggiante, splendente sotto il ritrovato sole tropicale, l’altra parte piena di detriti, immondizie, desolazione.  Un mondo che si è fermato con la rivoluzione e non ha più ripreso vita. Ma, insieme, panni puliti stesi ad asciugare, famiglie, bambini che giocano per strada, donne con borse della spesa piene di verdure. La stessa rivoluzione ci mostra musei, testimonianze, omaggi al sacrificio e celebrazione di ogni evento che ha costruito, mattone su mattone, la realizzazione del sogno socialista. E’ un parco di autovetture fuori dal tempo, dalla logica della meccanica, dai dettami della modernità. E’ un covo di maghi.

La domenica è il giorno meno stimolante, in una città come questa: la bellezza prepotente esplode con la vita quotidiana, con la gente che va al lavoro, i ragazzi che vanno e escono da scuola, le famiglie, le donne sovrappeso, i volti, i mille, centinaia di migliaia di volti di tutta la scala cromatica che riguarda la pelle umana, i denti bianchissimi di sorrisi gentili, di allegria, di sguardi sereni. Non puoi fissare un volto per più di trenta secondi, perché ci sarà un sorriso e un saluto, per strada, da chiunque. E’ un mondo incantato di leggerezza e allegria, che a me sembra perduto qui, da noi.

La gente è pulitissima: prenderemo colectivos, autobus, nelle ore di punta: nessun odore sgradevole, le ragazze con unghie e capelli curatissimi, abiti quasi succinti (oramai ci sono 26-28 °C tutto il giorno) su forme generose. L’igiene personale deve far parte dell’educazione scolastica, pensiamo, insieme alle divise sobrie e ordinate.

Visite interessanti nella città: Havana vieja e Havana Centro, tutte le piazze, piene di orchestrine che suonano, ballano, cantano e fanno cantare anche noi, i palazzi, i cortili, il mare, la chiesa di San Francesco,  La Camara Obscura, il Museo de la Rivoluciòn, il Museo del Ron, la maestosa Fortaleza de San Carlo de la Cabaña, fortezza nella quale concludiamo la nostra visita alla città, la sera, con il rimbombo del cañonazo e un bicchiere di mojito in mano.

Il 3 dicembre partiamo con Jeronimo e la sua Mitsubishi alla volta di Trinidad, per raggiungere la quale avremo più tappe: el Criadero de cocodrilos, (poco distante il nostro autista ci porta in una casina dove a prezzo popolare mangiamo aragosta e assaggiamo anche il coccodrillo, sigh) la penisola Cienaga de Zapata, con spiagge incantevoli e paesaggi punteggiati di palme altissime, bestiame in libertà, campi coltivati, grandi aziende agricole. La Cueva de los Peces, Punta Perdiz, dove sembra andasse in vacanza il Fidel. La Baia dei Porci, il museo di Playa Giròn, dedicato all’evento del 1961 e l’arrivo alla prima città vera e propria, Cienfuegos.

Cienfuegos è la giusta ricompensa dopo tanti chilometri di autopista, che pur mostrando paesaggi bellissimi, è un po’ monotona. La cittadina è bellissima, con un Paseo meraviglioso dove una statua quasi viva di Benny Moré attira molti sguardi. I pavimenti in marmo che portano alla piazza, i negozi accoglienti, la musica, l’atmosfera e un  le immancabili sedie a dondolo.

E’ già buio quando arriviamo a Trinidad. La meta è la casa particolar di Marely, un rifugio per amatori e buongustai.

 Marely è perfetta. Purtroppo nella sua casa non c’è posto ma in quella accanto, dove ci  manda, ci troviamo bene. La camera è grande, a richiesta abbiamo due letti separati (uno di noi due è m. 1,90x110kg. e i letti sono dei matrimoniali standard 160x90!), il bagno è spazioso e comunque i pasti vengono somministrati da Marely, e sono abbondanti, freschi, ben cucinati e serviti con grazia in una cucina bellissima, ordinata, pulita e ben arieggiata, circondata dalla massima tranquillità. Insomma, lo specchio della padrona di casa. 

La prima sera siamo troppo stanchi per uscire, ma il giorno dopo alle 9.30 siamo già, in compagnia del nostro fedele autista, a Playa Ancòn: non si può desiderare niente di più perfetto. La spiaggia è incantevole, punteggiata da ombrelloni di foglie di palma, qua e là. Pochissima gente, silenzio, pulizia, discrezione. Il tempo è perfetto, il mare una tavola e i colori accecanti. C’è perfino chi si occupa di noleggiare maschere e boccagli per visitare l’antistante barriera corallina, e procurare acqua fresca a richiesta. Ce la godiamo fino al primo pomeriggio, quando rientriamo, il tempo di una doccia e poco riposo e poi via! in giro per Trinidad.

Descriverla è superfluo, è Patrimonio dell’Umanità e il mondo la conosce. Sembra troppo, camminare sulle strade con l’acciottolato, le casine colorate, ordinate, uomini, donne , bambini, cavalli, carretti, macchine anni ’50, piazza Major una perla, lo sfondo del mare, le griglie davanti alle finestre, i balconi, la musica, i sorrisi, il mercatino, la canchanchara. La sera, dopo una gustosissima aragosta, andiamo alla Casa della Trova, dove un gruppo di ballerini intrattiene senza posa i visitatori, o meglio, le visitatrici. Indimenticabile Marcelino, una silfide armoniosa che ha fatto ballare un palo vestito come me.

Non senza rimpianto, la mattina del 5 dicembre lasciamo Trinidad, per un’altra giornata di viaggio e di escursioni. La prima tappa è la Valle de los Ingenios, dove ancora si respira l’aria delle vessazioni inflitte ai tempi della schiavitù: la torre di sorveglianza e le campane per radunare gli schiavi evocano macabre raffigurazioni. Qui gustiamo un guarapo da urlo al prezzo di 1 peso nacional e compriamo due bamboline “convertibili” nero/bianco.

Riprendiamo la strada tra agricoltori che stendono il riso ad asciugare prima di stivarlo nei sacchi bianchi, bambini e ragazzi che affollano i cortili delle numerose scuole disseminate qua e là, incroci con ferrovie dai treni inesistenti, carri trainati da cavalli e camion carichi di operai che vanno o tornano dal lavoro, e arriviamo trionfalmente a Sancti Spiritus, cittadina vivacissima piena di gente. La foto flash è sempre quella: bellissima piazza, colori, gente, musica, clacson, chiese, mercatini, e un mojito a un chioschetto nel centro della città è d’obbligo.

Quando risaliamo in macchina, la prossima tappa sarà Santa Clara. Mi preparo psicologicamente a incontrare il luogo di culto che celebra Ernesto Che Guevara, eroe indimenticato e indimenticabile, liberatore e combattente. Con orgoglio e umiltà ci avviciniamo alla sua ultima casa.

Sarò banale, ma di fronte alla lapide che è la sua tomba, circondata dagli altri 38 suoi compagni uccisi con lui in Bolivia, ho pianto. Ho pianto un uomo e il suo sogno, un mito, un essere fantastico fuori dal tempo, un coraggio e una fede nella giustizia illimitati. Ho accarezzato il calco in bronzo del suo viso bellissimo, di questo Cristo laico e contemporaneo e so che siamo stati tanti. Il bronzo è lucido di altre mani prima di noi. Ho letto a voce alta la lettera scritta a Fidèl, la sua partenza verso altre mete, altre liberazioni, altre giustizie. Hasta la victoria, siempre.

Santa Clara, estrapolata dal suo signore e padrone, è pure una cittadina vivace e conforme alle altre viste durante il viaggio, con belle costruzioni e piazze. C’è un bellissimo salone di barbieri e parrucchieri, che non manchiamo di visitare. Mezz’ora che riporta a vecchi film, con comode poltrone sulle quali farsi la barba è come un trattamento estetico, con rasoio a mano e panni caldi per ammorbidire la pelle. Con gli occhi pieni di immagini appaganti, lasciamo nel primo pomeriggio anche Santa Clara, alla volta di Varadero, non prima di aver fatto una puntatina al Treno Blindato.

Lungo la strada, incontriamo paesi, paesini, centri agricoli cresciuti intorno alle aziende produttive; in serata attraversiamo Càrdenas, modesta e elegante città sul mare, meglio di quel che raccontano. Purtroppo siamo stanchi da una giornata di viaggio e visite, e la vediamo appena, nel transito verso Varadero.

A Varadero arriviamo la sera. L’hotel Cuatro Palmas fa parte della catena Accor, come del resto il Mercure Sevilla di Havana nel quale abbiamo pernottato le prime due notti. L’obiettivo era il riposo assoluto, e così come avevamo concertato il nostro itinerario, se ne avrebbe avuto molto bisogno. Perciò l’albergo ha rispettato la nostra volontà, i letti sono grandi, comodi, la stanza è insonorizzata, ha la televisione satellitare intercontinentale, l’all-inclusive e la struttura è moderna e ben tenuta. Non manca niente, nemmeno colonie di turisti orridi con svariate decine di chili in più procurati da un’alimentazione terribile e incontrollata. Il vitto dell’hotel ne soddisfa in tutto e per tutto le aspettative, privilegiando la quantità abnorme rispetto alla qualità. In compenso, al bar ci sentiamo dire che il mojito non è tra le bevande più importanti qui…

 

Ovviamente la spiaggia è incantevole, anche se dopo Playa Larga, Playa Giròn, Cienfuegos e Playa Ancòn bisogna sforzarsi di guardare oltre la facciata. La posizione a nord la penalizza un pochino, le brezze possono disturbare un buon bagno, e il paese praticamente non esiste. La parte abitata è costituita da alberghi. Tutto sommato, però,  ce la aspettavamo più chiassosa e dozzinale, quindi è andata ancora bene. Ma sicuramente, l’avessimo saputo prima, 3 notti qui non valgono la pena dopo aver visto Trinidad e dintorni. Bene, adesso lo sappiamo. Però nel totale relax perfino la voce impertinente del disc-jokey, che elenca le attività proposte dallo staff di animazione, è accettabile.

Il giorno 8 dicembre il nostro prode autiere ritorna a prenderci, in compagnia di Renè: questo ci dà l’occasione di visitare Matànzas, e anche le Cuevas de Bellamar, grotte di grande interesse geologico. La città è carinissima, piena di ponti sovrastanti tre fiumi che la attraversano e ricca di vitalità. Bellissimo il lungomare. Sulla strada del ritorno verso Havana ci fermiamo a bere un mojitino sul Mirador del viadotto che è definito, per il valore tecnico ingegneristico, l’ottava meraviglia di Cuba. Molto carina anche la costa, a est di Havana, che vediamo dalla macchina mentre ci avviciniamo alla città.

La sera siamo ospiti di René e Lizzy, nella casa di René dove conosciamo la sua famiglia. E’ una serata carinissima, tranquilla, intima. Ci insegnano anche a giocare a domino, come potremmo concludere meglio?

Il giorno dopo è quello dei souvenir, ma nel mezzo ci stanno altre cose da vedere. La casa dove Camilo Cienfuegos ha vissuto, stralci di vita quotidiana in una mattina luminosa di Havana, che durante la nostra assenza e con il favore del bel tempo, è stata ampiamente ripulita.

Conclusione: cosa non dimenticheremo.

-         La pioggia torrenziale e l’istinto di fuggire con il primo aereo disponibile, soprattutto dopo i bagni del ristorante (…….)

-         La musica, musica, musica: le orchestrine nei bar, negli alberghi, nei ristoranti, per strada, alla Bodeguita, al Floridita, le prove di batteria del figlio di Prisca e Raùl, le donne in calle Obispo che vendono arachidi, le autoradio nei colectivos, nei taxi, sugli autobus

-         I mille volti che avrei voluto fotografare e non ho osato, per non disturbare, per non avere richieste di soldi, per non essere fraintesa. Peccato, ma chi se li scorda?

-         Il volonteroso, instancabile, premuroso René, la sua cultura turistica e le sue lezioni di politica;  il suo rispetto e la sua puntualità; ci ha fatto da tutore anche a distanza, telefonando a Prisca, a Jeronimo, a Marely, all’hotel di Cayo Levisa, all’ufficio di Cubaism…

-         La dolcezza di Lizzy, discreta e delicata, e il suo ottimo italiano

-         Jeronimo e le sue locuzioni:

o       Ferrocarrìl, no treno

o       Muchi magos (i meccanici)

o       Policìa, Jeronimo; fiuuu!

o       Cualquier cosa necesite: glin-glin! Jeronimo!

o       Albergo de Jeronimo (la Mitsubishi parcheggiata all’ombra)

o       Ahi! Ivanaa….?!? esta noche Daniele se escapa para bailar con las chicas cubanas! (el culito cubano)

 

-         Marely, dolce donna rassicurante e gentile

-         Marcelino con el sombrerito

-         I sette mojito del primo giorno all’Hotel Inglaterra

-         I viaggi in Cocotaxi

-         La cioccolata fredda nella casa del cioccolato

-         Moros y cristianos

-         l’aura tiñosa (una specie di avvoltoio)