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La rivolta inizia dall'io. A proposito del cambiamento

16.04.2013 11:20

 

YORDAN FUENTES DE ARNAIZ.

Yordan Fuentes De Arnaiz della redazione di Nuovacuba

 

Qualche anno fa ero a pranzo da amici che volevano introdurmi nel loro giro di amicizie. Dopo le consuete presentazioni ci siamo seduti a tavola e sono cominciate ad arrivare le portate. In questi pranzi mi ritrovavo di solito al centro dell’attenzione. Parlavo e rispondevo a domande e solitamente mangiavo pochissimo. In quell’occasione c’era un distinto signore amico di famiglia che di mestiere faceva il medico. Fino  a quel momento il dottore aveva parlato pochissimo, finito il secondo e in un istante di silenzio generale mi rivolge la parola chiedendo: come mai hai un nome così strano? Sono stati in tanti a farmi questa domanda, sapendo che il mio non è un nome di tradizione spagnola. Per queste occasioni ho la mia replica preconfezionata e rispondo: è stata una questione generazionale – dico col tono di chi ha una conoscenza assodata – dalla fine degli anni 70’ fino ai 90’ inoltrati quasi tutti i genitori, imponevano ai loro figli nomi come il mio. Lui e il resto dei seduti a tavola, seguivano con attenzione le mie parole. E poi aggiungo alla mia spiegazione sociologica: credo che per loro fosse come rompere con una tradizione, con qualcosa di vecchio. C’era una novità nel chiamare i propri figli Yerlandi, Yilenia o Yusimi… era musicale ed esotico. Poi mi pare ci fosse una forte influenza sovietica: non è strano trovare nomi come Katiuska, Katia o strani Iulianof come un mio collega ai tempi dell’università. Il signore distinto m’interrompe e mi disse serissimo: -Secondo me, a creare questa forte deriva culturale sono stati i massoni nordamericani. Tutti tacciono ed io resto impietrito. Lo guardo provando a scrutare il suo volto per capire se è una piccola presa in giro. Mentre lui, convintissimo e dimostrando una conoscenza della massoneria in America, controbatte con una serie di ragioni. La strampalata argomentazione mi faceva balzare sulla sedia, tuttavia le buone maniere mi facevano contrarre la faccia in qualcosa che doveva sembrare interesse. Mi stupiva che nessuno avesse niente da obiettare, forse dovuto al rispetto per il rango e l’età del conoscitore del tema massonico. La mancanza complessiva di obiezioni magari era dovuta al fatto che sembrava convincente la spiegazione o banalmente, perché gli intrighi catturano l’attenzione. Alla fine della trafila di ragioni che si dovevano nascondere dietro la bizzarra scelta del mio nome, nemmeno io replicai. Allora avevo messo da parte la loquacità che mi caratterizza quando dopo un calice di vino mi sento tra amici, perché contro le teorie complottistiche non valgono la pena spendere le proprie ragioni.

Da quel pranzo, però, ho imparato qualcosa che mi è venuta in mente a un recente convivio tra amici italiani ai quali, senza volerlo, mi sono trovato a spiegare chi è Yoani Sánchez. Uno di loro per motivi di lavoro è in Brasile e aveva seguito marginalmente le orchestrate “contestazioni” accadute durante la sua visita al colosso latinoamericano. Nel dialogo più di uno non conosceva Yoani e ho iniziato a raccontare i suoi inizi, il voler scrivere “facendo finta di vivere in un paese libero”, il suo fare domande da comune cittadina, le peripezie per accedere a internet, il fatto che è stata nominata tra le cento persone più influenti del pianeta nel 2008 e in fine il suo recente viaggio. Anche qui c’era una colta signora disposta a trascinarsi nel complotto e che ha fatto qualche domanda diffidente. Solo che questa volta, non ho voluto fare la scena muta e con un bel sorriso le ho contestato: – Guardi io sono cambiato perché ho subito il fascino di Yoani. E lei, incredula e ironica replica: -Che vuol dire? Tu nemmeno la conosci di persona! Mentre organizzavo la mia confutazione, con il pensiero che volava a mille, mi sono accorto che l’analisi di alcune vicende non rende ragione esauriente del fenomeno che si vuole capire. La frammentazione, il dividere in mille piccoli pezzi per trovare quello che tiene insieme il tutto, rischia di far perdere il senso. Ecco qui l’emergere dell’idea: nella vicenda cubana, come negli eventi personali siamo bravissimi a fare dell’analisi per capire le ragioni di un certo comportamento, di una situazione sociale, del fallimento della vicenda economica, ecc. Il più delle volte nella frammentazione, non solo si perde il senso ma si fanno, inoltre, delle illazioni. Quello che è tragico, tuttavia, è che non si è in grado di essere propositivi. In poche parole l’analisi non provoca un cambiamento.  Così in millisecondi mi sono accorto che io ero cambiato perché conoscevo del cambiamento di Yoani. Sono cambiato non sotto la potenza di un’idea o di un’ideologia. Mi ha trasformato di più il subire un fascino umano che le ore di formazione marxista.

È qui, dove hanno fallito gli ideologi del regime, hanno pensato che per la creazione dell’uomo nuovo bastasse un cambiamento esterno. Quelli che sembravano omniscienti, che hanno creduto di trovare la soluzione per raggiungere una terrena felicità. Occupati come erano nei problemi della massa, hanno smarrito il singolo. Per anni abbiamo dovuto subire ore di dottrina politica, abbiamo fatto del lavoro volontario, dell’attività agricola, abbiamo marciato, ripetuto il discorso ufficiale e abbiamo urlato degli slogan. È come se non fosse successo niente: questo non ci ha cambiato, non ci ha resi migliori, più responsabili o più vivi. Hanno fallito perché hanno dimenticato l’uomo. Così mi sono reso conto del mio cambiamento e del motivo che mi ha fatto uscire dal mio mutismo. Ci è più consono l’essere trascinati da un fascino che dalla potenza di una argomentazione. Quello che mi ha convinto è una donna che non ha avuto paura di essere se stessa. Credo sia questa motivazione ragionevole che mi ha fatto sorridere e rispondere alla colta signora: sono cambiato perché ho subito un’attrattiva. È bene non dimenticarlo quando ci chiedano le ragioni del perché la rivolta inizia dall’io.